venerdì 27 febbraio 2015

COME SPIEGO A MIO FIGLIO LA PEDOFILIA


Come si fa a parlare di pedofilia con i propri bambini? È una domanda che molti genitori, oggi più che mai, si pongono.
Se da un lato il timore è quello di spaventare i propri bambini, di allarmarli, di renderli sospettosi nei confronti degli altri, dall’altro, però, si fa avanti l’esigenza di proteggerli dal pericolo, dalla violenza, dagli abusi.

È bene, allora, iniziare fin da quando sono piccoli ad affrontare l’argomento, anche se bisogna farlo in maniera differente a seconda dell'età del bambino.

PER BIMBI PICCOLI, FINO A 6 ANNI, UNO STRUMENTO UTILE E’ LA FIABA. La fiaba, infatti, è un racconto che pone il bambino di fronte alla dicotomia e alla continua lotta tra il Bene ed il Male. Il “mondo delle favole” infatti non è solo un mondo fantastico e magico, ma è anche un mondo in cui esiste il “cattivo”, il “malvagio” che lotta per sopraffare il “buono”, per sconfiggerlo.
Attraverso le fiabe, allora, i genitori possono far comprendere ai bambini che esistono delle persone cattive, malvagie, che possono far loro del male, fingendosi persone amiche (basti pensare alla strega di Biancaneve quando prende le sembianze della vecchietta gentile). In tal modo è opportuno sottolineare ai bambini che quando qualcuno li avvicina, parla loro, offre loro qualcosa di buono o accattivante (come la mela di Biancaneve) bisogna sempre dirlo a mamma e a papà e non accettare mai ciò che viene offerto.
È importante anche insegnare ai bambini, già così piccoli, che non c’è nulla di cui non si possa parlare con mamma e papà, che se qualcuno dice loro “questo non lo devi raccontare a nessuno” si sbaglia, poiché i bambini ai genitori possono raccontare tutto ciò che vogliono, a maggior ragione quando qualcuno dice loro di non farlo!
Inoltre, anche se ciò può provocare imbarazzo e reticenza, bisogna far presente ai bambini che nessun adulto, al di fuori delle normali attività di igiene e pulizia, è autorizzato a toccare gli organi genitali dei bambini. Lo si dirà con un linguaggio comprensibile a seconda dell’età, ma lo si deve dire! A volte, infatti, le molestie e gli abusi vengono presentati come un “gioco”; invece, fin da subito, è necessario che i bambini comprendano che nessun adulto può giocare con i loro organi genitali, e che se qualcuno ha mostrato questa intenzione è bene dirlo subito ai genitori.

AI BAMBINI DAI 6 ANNI IN POI si può anche iniziare a parlare di pedofilia, di pedofili, spiegando ai propri figli che esistono delle persone cattive o malate che possono far loro del male, senza creare un clima allarmistico ma in ogni caso cercando di insegnar loro a stare in guardia, soprattutto in riferimento a particolari situazioni.
A questo punto bisogna anche iniziare a definire meglio alcune “regole di sicurezza” da condividere con i bambini in un clima di fiducia e serenità, in cui il bambino possa sentirsi libero di poter dire tutto ai propri genitori senza sentirsi giudicato, criticato o rimproverato.
Se fino all’età di 6 anni circa, difficilmente i bambini possono trovarsi fuori dal controllo di un adulto, con l’inserimento alla scuola elementare può capitare che essi vadano a scuola da soli, oppure che all’interno della scuola vadano in bagno senza l’assistenza, e così via.
A partire da questa età, quindi, è necessario far comprendere al bambino che è importante che i suoi genitori sappiano dove si trova e in compagnia di chi; bisogna anche concordare con il bambino cosa debba fare nel caso si allontanasse dai genitori in un luogo affollato, in un centro commerciale, assicurandosi che abbia imparato a memoria il numero di telefono dei genitori. Bisogna parlare con lui descrivendo quali possano essere i comportamenti tipici utilizzati dai pedofili per avvicinare i bambini: l’offerta di qualcosa che attragga il bambino (regali, dolciumi, piccole somme di denaro), la richiesta di un piccolo aiuto (essere aiutato a portare dei pacchi, etc.), l’offerta di un piccolo lavoretto o di posare per delle fotografie.
Anche nel caso dei bambini più grandi è utile ribadire che NESSUNO può toccarli nelle loro parti intime, per nessun motivo, fosse anche per scherzo!
È fondamentale spiegare loro che in generale un adulto non trascorre molto tempo con un bambino o un ragazzino, che nel momento in cui lo fa bisogna fare attenzione. Se vi sono anche delle figure di riferimento, cioè persone che gravitano attorno ad un bambino o ad un ragazzino per determinate attività (allenatori, animatori, catechisti, etc.), bisogna notare se tali persone trascorrono molto tempo in compagnia del bambino, se si mostrano interessati alla sua amicizia al di fuori dell’attività stessa e se intrattengono con lui delle relazioni privilegiate.
Purtroppo è un dato di fatto che raramente i pedofili sono persone del tutto sconosciute, ed è questa la difficoltà maggiore che possiamo incontrare parlando con i nostri figli, quella di far comprendere loro che devono prestare attenzione anche alle persone a loro più prossime, più vicine, con le quali magari hanno un rapporto affettivo!
È per questo che bisogna descrivere quali siano i comportamenti sospetti, quali siano i limiti che mai vanno superati in modo che il bambino possa osservare tali comportamenti anche nelle persone che lo circondano ed informare i propri genitori.
Infine è sempre utile cogliere l’occasione, per esempio a partire dall’ascolto di eventi di cronaca, per parlare con i propri figli, per riagganciare a fatti avvenuti ciò di cui si è discusso a proposito della pedofilia e dei pericoli che corrono i nostri figli.
Ricordiamoci che il DIALOGO è lo strumento principe che abbiamo per proteggere i nostri figli; costruire con loro una relazione di rispetto, di fiducia e di libertà di espressione è il miglior modo per tutelarli e per garantire loro una crescita serena.

Dott.ssa Roberta La Barbera
Psicologa e Psicoterapeuta

mercoledì 25 febbraio 2015

BENESSERE MENTE E CORPO: IL TRAINING AUTOGENO


Quando siamo tesi, ansiosi, sotto stress, aumenta la frequenza dei battiti cardiaci, il ritmo della respirazione, i muscoli si irrigidiscono, siamo in uno stato di allerta continua e i nostri pensieri tendono ad ingigantire qualunque difficoltà rendendola quasi insormontabile.
Per fortuna abbiamo la possibilità di utilizzare tecniche di rilassamento che sfruttano la capacità naturale del nostro corpo di autocurarsi, e creano un benefico circolo virtuoso nella nostra mente; tra psiche e corpo vi è un rapporto di reciproca influenza.
Rilassarsi è una capacità innata che spesso abbiamo dimenticato anche a causa del tipo di vita che conduciamo.
Siamo immersi in un mondo dove non viene valorizzata abbastanza l'importanza del prendersi del tempo per se stessi, concentrarsi in silenzio sulle proprie emozioni e sensazioni fisiche.
Invece fermarsi un attimo non è perdere tempo, bensì recuperare energia, consapevolezza di se stessi e del proprio corpo che ci permetterà di immergerci nuovamente nella vita quotidiana e fare ogni cosa con più entusiasmo e calma interiore.
Tra le tecniche di rilassamento sicuramente una tra le più efficaci è il Training Autogeno.
Esso si basa sull'utilizzo del potere che la nostra mente può avere nel produrre volontariamente uno stato di calma psicofisica.
In pratica si autodeterminano (autogeno, per l'appunto) delle modificazioni fisiologiche stabili partendo dalla mente, ma non di tratta di semplici suggestioni, bensì modifiche reali misurabili anche attraverso esami obiettivi (pressione, rilassamento mescolare, rallentamento frequenza respiratoria e sua regolarizzazione, sudorazione...).
Questi cambiamenti a loro volta, in un circolo virtuoso, producono una modifica a livello emotivo verso una sensazione di calma e serenità.
Tale tecnica ottiene moltissimi risultati sia nella pratica clinica psicologica e medica per ansia, stress, insonnia, ipertensione, sia a
livello sportivo nell'aumentare la capacità di concentrazione nel conseguimento di alte prestazioni.

Dott.ssa Silvia Giolitto
Psicologa Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale

domenica 22 febbraio 2015

PERCORSO DI TRAINING AUTOGENO E BENESSERE EMOTIVO

Lo Studio Equilibrium organizza un Percorso di Training Autogeno e di Benessere Emotivo: una pausa rilassante per il Benessere della Persona!

Per tutti i dettagli potete consultare la locandina allegata.

domenica 15 febbraio 2015

LA DIFFICOLTA' DI EDUCARE - CITAZIONE DI F. DOLTO


"Ma sì, è vero che è difficile. E, forse, posso citare una frase da Freud, che ha detto "l'educazione è così difficile che qualunque cosa, sai che stai sbagliando". Che cosa significa? Non dire che tutti i genitori sbagliano, ma vuol dire che una buona educazione dovrebbe essere contestata dai bambini molto spesso, e che molto spesso essi devono trovare che i loro genitori hanno torto e i loro genitori devono sapere che i loro bambini non possono sempre dar loro ragione. Stanno facendo quello che possono, ciò che sentono che devono fare e il bambino deve imparare ad averci a che fare con questo".

( Françoise Dolto, Anthologie radiophonique, 1976-1977, Lorsque l'enfant parait, Vol.3, CD8,Track 5 )

giovedì 12 febbraio 2015

INCOERENZA EDUCATIVA: QUALI CONSEGUENZE PER IL BAMBINO?


Una delle problematiche più diffuse tra le coppie di genitori nell’educazione dei propri figli è l’incoerenza educativa.
Cosa intendo per “incoerenza educativa”?
Intendo con questa espressione la differente concezione di cosa voglia dire educare un figlio, quali regole fargli seguire, come gestire i rimproveri, i cosiddetti “capricci” e così via…
Quante volte ci è capitato di assistere, o vivere, situazioni in cui uno dei due genitori rimprovera il figlio e l’altro interviene disconfermando e screditando il coniuge? Oppure in cui ad esempio la mamma si lamenta del disordine in casa e il papà dice al figlio con aria di complicità “lasciala stare lo sai che è esagerata!”. Ammesso che la mamma possa davvero essere “esagerata” nel pretendere l’ordine da parte di un bambino, un intervento come quello del papà a cosa serve? A chi serve? All’interno di quale relazione si inserisce?
È un intervento che nulla ha a che fare con il bambino, che non riguarda lui, ma che lo utilizza in quanto strumento per mettere in valore se stessi a scapito dell’altro o per colpire l’altro. Io parlo con il bambino, screditandoti, ed in questo modo uso mio figlio come strumento per far sì che il bambino abbia di me un’immagine positiva o per dirti che non approvo il tuo comportamento, che non condivido le tue priorità. In sintesi “io mi valorizzo e muovo una critica nei tuoi confronti, ma non lo faccio direttamente, ma attraverso il nostro bambino”.
Questo tipo di comportamento, purtroppo molto più frequente di quello che si creda, se è vero che crea una complicità tra uno dei genitori ed il figlio, non aiuta di certo il bambino nel suo sviluppo e nella sua crescita. Il bambino, infatti, ha più bisogno della complicità tra i suoi genitori che della complicità tra uno dei due e lui, perché la complicità tra i due genitori, l’intesa sullo stile educativo gli dà una sicurezza, un punto di riferimento stabile, al quale contrapporsi se è il caso, facendo i capricci per esempio, ma in ogni caso non lo confonde, non lo destabilizza. Ed è questo quello che conta! Poiché un bambino destabilizzato, che non ha dei riferimenti chiari e precisi, che non capisce cosa sia giusto e cosa sbagliato, spesso manifesta questo disorientamento con comportamenti fortemente disturbanti quali iperattività, aggressività, impulsività, tutti comportamenti che mettono a dura prova gli equilibri familiari, che spesso vengono messi in atto anche nel contesto scolastico, con gli insegnanti, con i compagni, creando al bambino anche grosse difficoltà di socializzazione, di accettazione da parte degli altri.
Ma perché tante coppie non riescono ad avere un unico stile educativo?
Ricordiamoci che ogni mamma ed ogni papà sono stati figli, hanno avuto dei modelli genitoriali e dei modelli educativi che nel momento in cui divengono genitori ritornano, si rendono presenti, in maniera più o meno inconsapevole.
Ed allora avremo chi ha avuto una determinata educazione e ritiene che sia stata giusta e tende a riproporre lo stesso stile e modello, chi vi si contrappone energicamente, chi è alla ricerca di un modello altro, magari informandosi, leggendo, documentandosi.
I guai iniziano quando ci si trova su posizioni nettamente contrapposte, “si mangia seduti a tavola”, “dai ma è piccolo che ci fa se mangia in giro per casa”, “si va a letto presto”, “ma che vuoi che sia se sta alzato ancora un po’”, “non hai rispettato una regola della famiglia ed allora ti darò questa punizione”, “ma quale punizione, che esagerazione!”. Gli esempi potrebbero essere infiniti.
Verrebbe da pensare “poveri figli”! Come può un bambino orientarsi in questa confusione, come può capire cosa fare e cosa non fare, cosa sia giusto e cosa sia sbagliato?
Purtroppo molte volte nelle relazioni familiari si perde di vista il vero obiettivo del creare una famiglia, cioè creare un luogo di scambi affettivi, di comunicazione, di aiuto reciproco, di sicurezza. Molte volte le famiglie si trasformano in veri e propri campi di battaglia, in cui “farsi la guerra”, in cui prevaricare l’altro, imporre il proprio modo di vivere, etc.
Queste dinamiche vengono accentuate con l’arrivo di un figlio. Ognuno dei due genitori penserà di essere nel giusto, che il proprio modo di concepire la crescita, lo sviluppo, l’educazione del bambino sia quello giusto, se l’altro è d’accordo bene, se non è d’accordo sta sbagliando.
È molto difficile mettersi in discussione, pensare che forse si stiano commettendo degli errori, che qualcosa forse vada modificata. Ma purtroppo è l’unica strategia possibile per ritrovare la serenità e per garantire ai nostri figli un luogo sicuro, un luogo protetto, uno sviluppo sereno ed armonico.
Cosa fare allora?
Innanzitutto il proprio modo di concepire la crescita e l’educazione di un figlio va discusso ancor prima che il bambino nasca, è importante anche durante la gravidanza che i due genitori si confrontino su come ognuno di loro vive questo momento, sulle proprie emozioni, sulle proprie aspettative circa la nascita del bambino, su quali saranno le regole della propria famiglia, le priorità da perseguire, etc.
Inoltre è di fondamentale importanza che qualunque screzio nasca, in seguito ad un comportamento del bambino, non venga discusso davanti al bambino, contrastandosi a vicenda, ma “in separata sede”.
Se un genitore fa un intervento e l’altro non è d’accordo in quel momento deve assecondare l’intervento dell’altro, discutendone successivamente e non alla presenza del bambino. Se un bimbo rimproverato dal papà va a rifugiarsi tra le braccia della mamma, è giusto che la mamma lo consoli e lo conforti ma allo stesso tempo non può e non deve criticare il papà che l’ha rimproverato, e viceversa naturalmente.
I bambini sono anche molto più furbi di quello che spesso pensiamo e via via che cresceranno utilizzeranno sempre più a loro vantaggio i contrasti tra i genitori per ottenere ciò che vogliono, per non rispettare le regole familiari. Sapranno benissimo come provocare il padre o la madre, farli adirare ed innescare una lite tra i due e come recita un detto popolare “tra i due litiganti il terzo gode”.
Il problema è che il “godimento” di cui si tratta non è sempre un reale vantaggio per il figlio, a lungo termine. Se non voglio studiare e faccio perdere le staffe a mia madre, a quel punto interviene mio padre e se la prende con lei perché urla sempre, e in tutto questo trambusto io non studio, qual è il vantaggio che ne ottengo? Non studiare! Certo sul momento è un bel vantaggio ma poi?
Tante volte è questo ciò che accade, ci si concentra più sulle relazioni conflittuali che sul reale compito che un genitore ha: garantire al proprio figlio le migliori condizioni possibili perché possa crescere bene e diventare un giorno un adulto capace di costruirsi la sua vita e le sue relazioni affettive.

Dott.ssa Roberta La Barbera
Psicologa e Psicoterapeuta

mercoledì 11 febbraio 2015

I "NO" DEL BAMBINO


Oggi riportiamo un passo della celebre psicoanalista lacaniana Françoise Dolto, fondamentale punto di riferimento per tutti coloro che si occupano di bambini ed adolescenti. Il testo è stato tradotto dalla Dott.ssa Roberta La Barbera.
Questo passo è davvero importante poiché spiega quale sia l'origine dei "no" che i bambini iniziano a dire tra i 18 e i 21 mesi e come i genitori debbano affrontare questa fase dello sviluppo del bambino, difficile da gestire ma estremamente significativa per far sì che il bambino possa divenire ma soprattutto possa mostrarsi in quanto soggetto, separato dalla mamma, con una sua individualità, unica solo a lui.
BUONA LETTURA!!

Il “no” del bambino comincia verso i 18 mesi, per altri verso i 21. È un momento da rispettare. Il bambino sta mutando la sua psicologia di bebé che non poteva sfuggire dal fare quello che la mamma gli diceva. Non perché obbedisse, era ipnotizzato, era indotto, era sempre come la mamma voleva, perché la mamma e lui ciò faceva uno.
E adesso egli arriva a sapere “io-io” e non “io-tu”, mentre il bambino è “io” tanto quanto la sua mamma. È il periodo del “no” che è un periodo molto positivo se la madre lo comprende. Il bambino dice “no” per fare “si” ed è questo quello che i genitori devono comprendere. Questo dire “no” vuol dire “no, non perché tu me lo dici immediatamente, ma in effetti io voglio farlo “io-io”, io che diventerò come papà”.
Ci sono allora molte cose in cui la mamma può aiutare questo bambino. Dirgli “sai, se papà fosse qui, credo che anche lui te lo direbbe”, e poi non insistere, alcuni minuti dopo, il bambino lo farà. Lo farà per diventare come un uomo e non restare come un bambino che è comandato come un cane – se si può dire, un bambino non è mai un cane, ma si sente come il piccolo che ha un padrone – ebbene, il suo bambino, che lei ne sia fiera, sta arrivando alla possibilità di dire “io”. Non è molto comodo per la mamma ma è un momento molto importante.

( Françoise Dolto, Anthologie radiophonique, 1976-1977, Lorsque l’enfant parait, Vol. 3, CD 9, Track 04)

lunedì 9 febbraio 2015

COME STIMOLARE I BAMBINI A LEGGERE GRAZIE ALLA PET THERAPY


In un mondo sempre più informatizzato, dove i nostri figli trascorrono la maggior parte del nostro tempo tra videogiochi e computer, la lettura sta perdendo il suo grande valore nel contribuire alla crescita dei bambini e dei ragazzi.
Spesso la lettura viene vissuta come un obbligo scolastico, un’attività noiosa e pesante che è meglio relegare solo alle ore di studio.
Si sta via via perdendo l’importanza della lettura nello sviluppo della fantasia e dell’immaginazione, la capacità che un libro ha di farci entrare ogni volta in un mondo nuovo, che in parte il lettore contribuisce a creare con la propria fantasia, dando corpo, attraverso le proprie immagini, alle parole che legge.
Vi sono molti modi per far sì che un bambino inizi ad appassionarsi alla lettura, in primo luogo l’esempio dei genitori: è provato che un bambino che vive in una casa piena di libri e che ha dei genitori appassionati di lettura avrà più probabilità a sviluppare questa passione; in secondo luogo la condivisione della lettura con i genitori: leggere insieme aiuta molto ad apprezzare maggiormente quest’attività; inoltre i genitori dovrebbero nella scelta di un libro da regalare al figlio, cogliere quali siano le passioni del proprio bambino o ragazzo (la scienza, lo sport, gli animali, etc.) e regalare loro un libro che sia inerente alle sue passioni o inclinazioni.
Infine, recenti studi hanno dimostrato che un’attività di Pet Therapy, molto particolare, che riesce ad avvicinare i bambini alla lettura, è quella di leggere ad alta voce una fiaba ad un gatto o ad un cane.
Uno dei progetti di lettura di fiabe ai gatti è stato ideato e realizzato negli U.S.A. in Pennsylvania, presso un rifugio per gatti abbandonati, il Berks County League.
La coordinatrice del rifugio, infatti, ha notato come il proprio figlio avesse migliorato le proprie difficoltà nel leggere eseguendo questa operazione ad alta voce di fronte ai gatti presenti nella struttura. Ciò ha fatto sì che altri bambini iniziassero questo percorso educativo che ha ottenuto ottimi risultati anche nei bambini con difficoltà nella lettura e in quelli con problemi di autismo.
La stessa attività è stata svolta anche con i cani.
L’idea di far accompagnare i bambini nel loro accesso al mondo della lettura dai cani, è nata negli Stati Uniti con il progetto R.E.A.D. (Reading Education Assistance Dog) e ora si sta diffondendo in tutta Europa.
Sempre negli Stati Uniti, una ricerca della Tufts University del Massachusetts, ha confermato che la lettura ad alta voce ai cani aiuta i bambini a superare l’imbarazzo e la timidezza e ad aumentare la loro autostima.
Questa attività ha due ricadute positive, da un lato fa sì che i bambini inizino ad amare leggere e a considerare la lettura un passatempo utile e divertente, dall’altro aiuta tutti quei bambini, in età scolare, che mostrano difficoltà nella lettura e nella scrittura, ma anche difficoltà nell’interazione con i compagni e con gli insegnanti. Capita, infatti, spesso che il momento dell’interrogazione orale innesca una reazione d’ansia che inibisce il bambino che seppur preparato, non riesce ad esprimere al meglio le sue conoscenze e il suo apprendimento.
Recentemente, come più sopra accennato, è stato dimostrato che la presenza di un cane, appositamente educato e guidato dal Pet Therapist, aiuta il bambino da un lato ad appassionarsi al mondo dei libri, dall’altro a superare le difficoltà legate soprattutto alla sfera emotiva.
Ci si può chiedere come mai avvenga questo? Il cane è in effetti un interlocutore particolare, poiché ascolta pazientemente non giudicando, non correggendo i difetti di pronuncia, non deridendo, ma anzi manifestando la propria presenza con lo sguardo, alzando le orecchie o facendo piccoli movimenti del capo. La presenza di un cane è rassicurante, poiché implica una piena accettazione del bambino, così com’è, con le sue difficoltà, con le sue problematiche, riducendo notevolmente l’ansia da prestazione.
Ad ascoltare il bambino non è più un adulto o un coetaneo, ma un silenzioso e benevolo tutor di lettura.
Il bambino si trova immerso in una nuova avventura in cui il suo amico a quattro zampe si mostra attento e pronto a ricevere coccole e carezze: la sessione terapeutica si delinea così in modo caldo, amichevole ed accogliente.
Inoltre il Reader Dog funge da motivatore per il bambino, che nel leggere una fiaba riveste il ruolo di “colui che sa” e che ha la capacità di trasmettere un sapere al cane che lo sta ascoltando, con ottime ricadute anche relativamente alla propria autostima.
Questa attività è indicata per tutti i bambini che rifiutano o mostrano difficoltà ad approcciarsi al mondo dei libri, e permette di raggiungere grandi risultati con bambini che presentano particolari problematiche quali: timidezza, scarsa autostima, difficoltà di socializzazione, ma anche balbuzie, autismo, mutismo selettivo, etc…

Dott.ssa Roberta La Barbera
Psicologa e Psicoterapeuta
studioequilibriumpalermo.blogspot.it

venerdì 6 febbraio 2015

BAMBINI DISATTENTI, IPERATTIVI E IMPULSIVI: LE 3 STRATEGIE PIÙ EFFICACI.


Oggi proponiamo un interessante articolo dal blog "Didattica Persuasiva" che è rivolto agli insegnanti ma che riteniamo utile proporre anche per i genitori, poiché offre delle strategie utili e applicabili anche in famiglia per gestire i bambini iperattivi ed impulsivi.

Non ti direi niente di nuovo se affermassi quanto possa essere difficile fare lezione con un bambino definito “iperattivo”, e quanto questo richieda impegno.

La scuola è uno degli ambienti in cui le difficoltà del bambino con questo tipo di disturbo sono più evidenti, di conseguenza l’atteggiamento adottato dagli insegnanti con lui è fondamentale per qualsiasi intervento, al fine di ridurne i sintomi.

Le informazioni che stai per acquisire ti permetteranno di ridefinire le attribuzioni scoprendo presto che l’alunno iperattivo non si comporta così perchè vuol fare impazzire le maestre, ma perché soffre di un disturbo specifico che lo porta in maniera “naturale” a mantenere determinati comportamenti.

SPESSO INFATTI IL DOCENTE PUÒ SENTIRSI MINACCIATO NELLA PROPRIA IMMAGINE E NELLA PROPRIA AUTOSTIMA PER LE DIFFICOLTÀ CHE INCONTRA NEL CONTENERE IL COMPORTAMENTO DELL’ALUNNO.

Questo disagio può portare ad una progressiva diminuzione della capacità di controllare le proprie reazioni nei confronti del bambino e quindi, ad aumentare gli atteggiamenti punitivi. Se poi l’alunno manifesta frequenti comportamenti aggressivi verso i compagni, l’insegnante vivrà uno stato continuo di ansia riguardo alla sicurezza degli altri alunni.

Ad aggravare la situazione, quasi mai vi sono degli interventi specifici guidati da esperti sugli insegnanti che spieghino come affrontare didatticamente questo tipo di situazioni, ma noto con dispiacere che spesso gli insegnanti vengono lasciati soli in questo arduo compito e che con grande fatica fanno il loro meglio per ristabilire una quiete minima per poter affrontare la lezione; del resto non si può affrontare ciò che non si conosce.

Partendo dal presupposto che come ben sai; ogni intervento va adattato alle caratteristiche del soggetto in base all’età, alla gravità dei sintomi, ai disturbi secondari, alle risorse cognitive, alla sua situazione familiare e sociale, dobbiamo riconoscere che:

ALCUNE INFORMAZIONI DI VALORE APPLICABILI NELLA SUA GESTIONE, POSSONO SENZA DUBBIO FARE LA DIFFERENZA.

L’apprendimento dei consigli spiegati nell’articolo che stai leggendo, se applicate con costanza e precisione, non tarderanno a dare i loro frutti ed il tempo impiegato per la loro attuazione risulterà un buon investimento per l’intera classe. Di fatti, come io stesso ho potuto largamente sperimentare, solamente l’ausilio di una serie di informazioni dettagliate sulle caratteristiche del disturbo consentono all’insegnante di assumere un atteggiamento più costruttivo nel rapporto con il bambino e lo aiuta di fatto ad aumentare la propria capacità di autocontrollo emotivo indispensabile per trattare tali disturbi.

Mi preme sottolineare che i consigli che stai per leggere avranno una maggiore efficacia se tutti gli educatori sentono di formare un team per aiutare il bambino e non si fermano ad uno sterile, quanto improduttivo, gioco di sapere e potere. Dunque più riuscirai a coinvolgere in queste pratiche i tuoi colleghi e più queste risulteranno efficaci. Queste procedure diventano più idonee se le utilizzate in classi non troppo numerose in modo che tu ti possa trovare in una posizione migliore, per fornire un feedback e un rinforzo immediato al bambino, o in situazioni dove un sostegno alla classe è disponibile.

Devi innanzi tutto essere consapevole che diversi studi hanno dimostrato largamente quanto:

IL DIVERSO ATTEGGIAMENTO DEGLI INSEGNANTI CON IL BAMBINO DISATTENTO/IPERATTIVO HA UN FORTE IMPATTO SULLA MODIFICAZIONE DEL SUO COMPORTAMENTO.

Il bambino nasce già con una predisposizione a sviluppare il disturbo e che con la crescita e in base alle caratteristiche dell’ambiente, la gravità dei sintomi e la loro durata si possono modificare accentuandosi o riducendosi.

Questo concetto è molto importante per dividere le cause dai fattori di aggravamento e miglioramento e sarà il nostro più grande motivatore all’azione:

ANCHE SE ESISTONO DELLE CAUSE INNATE NON VUOLE DIRE CHE IL DESTINO È GIÀ SEGNATO, ANZI CI SONO AMPLISSIMI MARGINI DI MODIFICAZIONE.

Se avrai avuto modo di metterti alla prova con situazioni di questo tipo, avrai ben capito che le classiche misure disciplinari sembrano sortire poco effetto e che anzi paiono essere controproducenti; minacce, oppositività, rimproveri hanno conseguenze temporanee e che spesso il comportamento problema ricomincia a ripresentarsi poco dopo.

DUE INFORMAZIONI DI VALORE POTRANNO AIUTARTI IMMEDIATAMENTE:

CONOSCERE IL DISTURBO.
APPRENDERE LE 3 STRATEGIE PIÙ’ EFFICACI CHE RIDUCONO I COMPORTAMENTI DIROMPENTI ED INADEGUATI.


CONOSCERE IL DISTURBO.
In realtà, l’iperattività è uno dei sintomi di quella che viene definita ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder), sigla che sta per SINDROME DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ. L’ADHD è un disturbo neurobiologico diagnosticabile che, se non viene correttamente trattato, può incidere pesantemente su tutti gli aspetti della vita dei bambini e delle loro famiglie.

La diagnosi di ADHD è di competenza del Neuropsichiatra infantile o di altri operatori della salute mentale dell’età evolutiva, con specifiche competenze sulla diagnosi e terapia dell’ADHD e si basa sulla raccolta di informazioni fornite dai genitori e dagli insegnanti e sull’osservazione e valutazione clinica del bambino da parte dello specialista.

Ti basterà sapere che L’ADHD è un disturbo dovuto alla disfunzione di alcune aree e di alcuni circuiti del cervello ed allo squilibrio di alcuni neurotrasmettitori (come noradrenalina e dopamina), responsabili del controllo di attività cerebrali come l’attenzione e il movimento e che è un disturbo ad eziologia multifattoriale, di fatti i fattori responsabili della sua manifestazione sono diversi: genetici, neuro-biologici, ambientali.

COME SI PRESENTA IL DISTURBO?

I manuali diagnostici (DSM-IV pubblicato dagli psichiatri americani e ICD-10 pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) elencano una serie di comportamenti che riguardano la manifestazione frequente di:

DISATTENZIONE, IPERATTIVITÀ E IMPULSIVITÀ

Avrai notato che questi sintomi non sono rari nei bambini, anzi sono comportamenti che tutti quanti manifestano, o almeno molti di essi. Il problema dei bambini che presentano questo disturbo è che manifestano un numero elevato di questi sintomi, in modo frequente e per un periodo persistente e provocano una compromissione nel funzionamento del bambino. Ad aggravare la situazione si osserva poi che i bambini con questo tipo di disturbo, molto spesso non presentano solo questi sintomi, ma nella quasi totalità presentano anche altre caratteristiche secondarie, non raggiungono una gravità tale da meritare una diagnosi associata ma che comunque creano problemi al bambino e alle persone che vivono vicino a lui.

Ma quali altri disturbi possono accompagnare l’ADHD?

I bambini e gli adolescenti con ADHD possono manifestare anche altri disturbi psicologici e psichiatrici in contemporanea (comorbilità).

Nell’ 80% dei casi l’ADHD si associa ad altri disturbi

Meno frequenti (fino al 20%).

Tic
Depressione
Disturbi dello spettro autistico
Ritardo Mentale
Molto frequenti (più del 50%).

Disturbo oppositivo e disturbo della condotta
Frequenti (fino al 40%).

Disturbi specifici dell’apprendimento
Disturbi del linguaggio
Disturbo evolutivo della coordinazione
Disturbi d’ansia

APPRENDERE STRATEGIE CHE RIDUCONO I COMPORTAMENTI DIROMPENTI ED INADEGUATI.
Avrai notato come questo disturbo spesso si presenti in superficie con strategie di difesa: fare il buffone, fare i versi, provocare, discutere, pretendere, svignarsela e mentire che si traducono abbastanza spesso da parte degli adulti in aspre critiche, esclusione, punizione, etichettatura che determina a sua volta un ulteriore aumento dell’irritazione sia nel bambino che dell’adulto stesso.

LE PUNIZIONI SEVERE, NOTE SCRITTE O SOSPENSIONI, NON MODIFICANO IL COMPORTAMENTO DEL BAMBINO, SE NON IN MANIERA TEMPORANEA.

Quali sono dunque i 3 PASSI STRATEGIE perché tu possa fare subito la differenza?

1) INSTAURA DELLE ROUTINE.

2)STABILISCI DELLE REGOLE E IL COSTO DELLA LORO INFRAZIONE.

3) ORGANIZZA MEGLIO GLI SPAZI.

Andiamole a vedere nel dettaglio.

1) INSTAURA DELLE ROUTINE

Devi sapere che il bambino con ADHD è poco abile nel fare stime realistiche di grandezze, tempi, quantità, dunque devi abituarlo a lavorare con tempi stabiliti che si traduce nell’aiutarlo a valutare, pianificare e organizzare il lavoro.Tutte le regolarità e le scadenze prestabilite lo aiutano a comprendere quali saranno gli eventi più probabili nella giornata.

PIÙ ROUTINE SI REALIZZANO MENO INSTABILE SARÀ IL COMPORTAMENTO

Innanzi tutto, dato il forte stress a cui i compiti cognitivi sottopongono il bambino, ti converrà stabilire con chiarezza quando si debba iniziare a lavorare in classe e come saranno distribuite le pause, queste verranno possibilmente concordate con il bambino presentandogli le attività con una scansione temporale spezzettata e non troppo lunga, commisurata alla sua capacità attentiva (che tenderà con l’esercizio ad aumentare), possibilmente attraverso le modalità a lui più gradite.

Esempio di possibili routine

routine di inizio lezione (prendere visione di tutto il materiale utile per la lezione)
presentazione delle attività della giornata
scansione dei tempi di lavoro
pause concordate
dettatura compiti per casa e controllo

2) STABILISCI DELLE REGOLE CHIARE E IL COSTO DELLA LORO INFRAZIONE.

Avere regole chiare e conosciute da tutti aiuta tutta la classe e non solo il bambino in difficoltà, dunque far comprendere con chiarezza e in anticipo quali azioni sono errate contribuisce a prevedere gli esiti e le conseguenze. Tali buone prassi, maggiormente saranno consolidate e acquisite in una classe in cui il bambino è inserito e più è probabile che lo stesso si conformi ad esse.

Buona abitudine da seguire è quella che stabilisci delle regole che condividi e discuti con i bambini possibilmente dando loro l’opportunità di approvarle o modificarle (nella forma ma non nella sostanza chiaramente).

Ricorda che:

le regole devono essere proposizioni positive e non divieti
devono essere semplici ed espresse chiaramente
devono descrivere azioni in modo operativo
dovrebbero utilizzare simboli pittorici colorati
devono essere poche (8-10)
Proposte e non divieti

Vietato alzarsi dal posto prima del suono della campana
Vietato parlare senza avere alzato al mano
Alzarsi dal posto appena la campana suona
Tenere alzata la mano per 5 secondi per chiedere la parola
Costo della risposta.

Ti ho già suggerito in altri articoli che diverse ricerche hanno stabilito come in educazione sia più efficace proporre in alternativa al comportamento inadeguato la perdita di un privilegio o di un’attività gradevole, piuttosto che erogare una punizione e che nel farlo devi utilizzare il tuo buon senso nel determinare una relazione equa tra punizione e gravità dell’azione.

Non scordare mai di mantenere chiarezza nella verbalizzazione dei motivi per cui stai facendo perdere il privilegio e fornisci indicazioni su quali potrebbero essere i comportamenti adeguati e corretti da seguire in futuro, dunque poni l’attenzione sulla riflessione delle possibili alternative (questo devi farlo con bambini che abbiano un minimo di 7 /8 anni in poi non prima).

ORGANIZZA MEGLIO GLI SPAZI E LA TUA LEZIONE.
Possono esserti di aiuto piccole modificazioni alla struttura della classe, al formato e alla durata delle lezioni. Per esempio, un bambino iperattivo potrebbe avere posizionato il suo banco vicino alla cattedra. Questo rende più facile, per te, monitorare i progressi dei comportamenti appropriati per il lavoro e per la ricompensa al compito.

Per i bambini che sono estremamente distraibili, può essere di aiuto essere inseriti in classi con pochi studenti, sebbene, la sistemazione del bambino in un’area senza distrazioni, completamente separato dai suoi pari, abbia poche probabilità di essere efficace, fallo dunque solo in rare occasioni o per compiti specifici.

Per quanto riguarda invece le modifiche più significative che puoi apportare alla tua lezione, se non lo fai già, converrebbe che quando spieghi o dai delle istruzioni per eseguire dei compiti è importante che tu ti accerti del livello di attenzione del bambino: spesso infatti il bambino iperattivo è fisicamente e mentalmente occupato a fare qualcos’altro (roteare penne, guardare o chiamare i compagni) e dunque è probabile che non ti stia ascoltando.

PONI ATTENZIONE ANCHE SULLE TUE CONSEGNE CHE DEVONO CONTENERE DELLE ISTRUZIONI SEMPLICI E BREVI.

E’ fondamentale che tu ti assicuri che il bambino abbia compreso le istruzioni di un compito e in generale il contatto oculare è la tecnica più efficace che puoi usare per controllare l’attenzione del bambino e per verificare che la comprensione sia avvenuta, prima di cominciare potresti chiedere al bambino: cosa dei fare?

Prima di concludere, occorre che tu tenga presente che non vi è un rimedio assoluto, ma non dimenticando la gravità e la persistenza dei sintomi della ADHD possiamo riconoscere che attraverso un trattamento appropriato e considerando che tali disturbi risentono notevolmente delle variabili ambientali, si può raggiungere un adeguato benessere globale, in quanto si tratta di un disturbo pervasivo che coinvolge tutti gli ambiti di vita del bambino e…

NOI COME INSEGNANTI POSSIAMO FARE LA DIFFERENZA IN UNA PARTE DI ESSA, SOPRATTUTTO SE RIUSCIAMO A FAR SENTIRE IL BAMBINO ACCETTATO E SOSTENUTO DIFRONTE ALLE SUE TANTE DIFFICOLTÀ.

giovedì 5 febbraio 2015

LA GELOSIA DEL FRATELLO MINORE


Oggi proponiamo un articolo molto interessante su un argomento poco trattato, con il quale invece, ogni genitore che abbia più di un figlio si trova a fare i conti. L'articolo è a cura di Mamma Medico, blog con consigli e informazioni per la salute dei bambini.

C’è un argomento caldo, anzi caldissimo che avevo trattato diverse volte in passato ma che ora torna prepotentemente, un evergreen insomma.
Di che si tratta? Della gelosia fra fratelli. Ne hanno scritto in questi giorni altre mamme blogger e anche io avevo in serbo il post da tempo. Perché ne scrivo oggi? Non per fare la “copiona”, ma nella speranza che qualche lettore “illuminato” abbia qualche consiglio.
Quando pensiamo alla gelosia fra fratelli, pensiamo sempre a quella che il fratello maggiore manifesta verso il minore.
E il motivo è chiaro.
Un bimbo che fino a quel momento è stato da solo ha ricevuto tutte le attenzioni dei genitori, non ha dovuto dividere con nessuno il loro tempo, il loro affetto, non ha dovuto dividere con nessuno spazi e giochi. Tendenzialmente il piccolo figlio unico diventa il reuccio di casa stra-amato, stra- coccolato.
Quando arriva un fratello per forza di cose cambiano gli equilibri, la mamma si assenta per qualche giorno e torna con in braccio l’altro bambino. Un piccolo bambino che piange e reclama tutte le attenzioni. Un piccolo bambino a cui non si può dire di aspettare se piange, se ha fame o ha bisogno di essere cambiato. Al primogenito si. Il primogenito è grande. È grande anche se ha due anni e proprio grande non è. Così iniziano i problemi noti e stranoti. Si tratta di gelosia. Gelosia che tutti danno per normale. Anzi. Sarebbe strano se non ci fosse.
Io stessa da sorella maggiore me la ricordo bene. Avevo 4 anni quando è nata mia sorella. È cambiato tutto nella mia vita anche perché negli anni ‘70 non c’erano certo le accortezze in materia di psicologia del bambino che ci sono oggi. E mi ricordo bene che seppellivo quel sentimento di “odio” verso di lei che mi faceva sentire cosi’ in colpa quando riemergeva.
Me lo sono ricordata cosi’ bene che quando aspettavo microba e poi quando è nata, tutte le accortezze, le attenzioni, erano per supernano. Siamo stati anche fortunati perché microba fino ad un anno non si è mai sentita. A parte le esigenze fisiche non richiedeva altro. Dove la si metteva stava, pendeva dalle labbra del fratellone che la adorava. Nessuna necessità di rivedere gli equilibri famigliari, nessuna turbolenza nella vita di supernano.
Fino all’anno di microba appunto.
Poi sono sorti i problemi a cui non ero preparata. Quei problemi che ancora oggi faccio fatica a gestire.
Microba si è accorta di esistere. Microba ha cominciato a pretendere una sua collocazione. Microba ha messo a fuoco il fratello in modo diverso. Non era più solo il bimbo da seguire ed emulare, era quello che le portava via la mamma perché i minuti della buonanotte prima equamente divisi dovevano essere solo per lei; era quello che attirava le attenzioni degli estranei o dei nonni o degli zii quando ha iniziato la prima elementare ed orgoglioso mostrava zaini e quaderni; era il super sportivo che riceveva i complimenti dai maestri.
E microba?
Microba ha deciso che doveva andare a scuola quando il tempo della scuola primaria era ed è lontanissimo; ha preteso zaino e quaderni; alla sera deve fare i compiti e con caparbia da sola ha imparato a scrivere numeri e lettere; deve essere altrettanto brava negli sport: lo scorso anno sotto una tormenta di neve ha imparato a sciare non lamentandosi mai, ha deciso che deve nuotare nell’acqua alta senza braccioli, vorrebbe giocare a tennis e ha messo il muso quando le è stato detto che è troppo piccola.
Tutto ciò potrebbe essere positivo, ma, c’è un ma. Quando non può, quando non ottiene quando si rende conto dei suoi limiti (d’età) quando supernano, che nel frattempo sta molto in disparte, ha veramente bisogno, scatta il trip. Microba si trasforma, diventa una iena. Calci, pugni, morsi verso di me o verso il fratello, verso i suoi giochi, verso gli oggetti di scuola. Minaccia di andarsene di casa o al contrario invita poco gentilmente noi ad andarcene, sostenendo che nessuno l’ascolti, le voglia bene. Impossibile descrivere quello che succede a casa nostra in quei momenti. Niente e nessuno la può calmare. E la “pazzia” scatta all’improvviso. A volte senza neppure un apparente motivo.
All’inizio mi sentivo impotente. Ho alternato momenti di resistenza passiva a momenti di resistenza attiva. Ho comprato libri. Per me. Per lei. Uno molto carino si intitola “Giallo di gelosia” ed è la storia di una mamma con 3 figli che si clona in 3 mamme causa la gelosia dei suoi bambini.
Una delle ultime volte dopo aver contato fino a 1000 l’ho presa in braccio con calma (anche se dopo che aveva pasticciato il quaderno di matematica del fratello avevo solo voglia di prenderla a sberle-e non mi vergogno a dirlo) e le ho parlato con calma. Le ho spiegato che lei doveva essere fiera di avere un fratello maggiore. Innanzitutto perché stare da soli è brutto ma soprattutto perché lei era stata scelta oltre che dalla mamma e dal papà anche da suo fratello che fino da subito l’aveva amata tantissimo.
Queste parole l’hanno colpita moltissimo. Stavo quasi tirando un sospiro di sollievo quando mi è caduta addosso un’altra tegola.”mamma, va bene, ma come ho fatto ad entrare nella pancia?” …
Cosa le ho raccontato sarà argomento di un altro post!

http://www.mammamedico.it/psicologia/la-gelosia-del-fratello-minore/

martedì 3 febbraio 2015

COME AFFRONTARE L'ANSIA

Palpitazioni, tremori, difficoltà a respirare, paura di perdere completamente il controllo...molte persone che soffrono di panico raccontano che il primo attacco solitamente sia avvenuto all'improvviso, senza apparenti motivi, come "un fulmine a ciel sereno". Ma ad un'indagine più approfondita possono emergere problemi pregressi legati a cambiamenti recenti nella propria vita, riflettendo ci si accorge del fatto che vari indizi rivelano come quella persona vivesse in una situazione di stress prolungato senza magari esserne del tutto consapevole.
Ma perché viene un attacco di panico e soprattutto cos'è? Esso consiste in un'intensa ansia che si scatena improvvisamente e scompare in un arco di tempo relativamente breve.
La prima cosa da da sapere è che l'ansia è una normale risposta adattiva del nostro organismo per affrontare situazioni di "pericolo"....nell'attacco di panico è come se questo allarme si fosse "inceppato" e suonasse più del dovuto!
Il disturbo di attacchi di panico viene mantenuto, una volta che ci sono stati i primi episodi, dalla presenza di duefattori:
1) eccessiva attenzione a qualsiasi sintomo fisico che possa far pensare ad un aumento dall'ansia
2) visione di se stessi come deboli, fragili e pertanto tendenza a evitare certi luoghi o situazioni in cui ci si sente più vulnerabili (ad esempio uscire da soli) con il rischio che quando ci si abitua a evitare certe situazioni progressivamente le abitudini si consolidano in stile di vita.
E allora come si fa ad uscire da questo circolo vizioso?
Innanzitutto bisogna cominciare a pensare che i sintomi del panico non siano pericolosi e pertanto non possano recare alcun danno; sono i pensieri catastrofici generati dalla paura che aumentano i sintomi fisici. Infatti vari studi scientifici hanno dimostrato che nelle situazioni di intensa paura si perde la capacità di riflettere realisticamente ("non ce la farò. ..ora mi sentirò male"...).
E allora?
L'unica strategia per vincere l'ansia è quella di esporsi alle situazioni che si temono imparando gradualmente a fronteggiarle e pertanto a tollerare le sensazioni fisiche dell'ansia, diminuendo così la paura. Si fa esperienza che ciò che si teme non provoca nulla di irreparabile!
Bisogna essere aiutati a tenere in mente alcuni pensieri che possono aiutare ad affrontare le situazioni:
-"Non mi può succedere nulla di pericoloso! Ce la posso fare!"
-imparare una tecnica di rilassamento per gestire i sintomi dell'ansia
-distrarsi dai pensieri prodotti dslla paura e cercare di rivolgere l'attenzione a ciò che realmente sta accadendo attorno a sé rimanendo nella situazione finché l'ansia non sia diminuita da sola.
La cosa più importante da capire è che "la guarigione" non consiste nel non provare più ansia bensì nell'imparare a gestire la propria paura !


Dott.ssa Silvia Giolitto
Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale