giovedì 29 gennaio 2015

PROGETTO BEN-ESSERE MAMME


Lo Studio Equilibrium è lieto di presentare il Progetto BenEssere Mamme.La finalità del Progetto “BenEssere Mamme” è quella di aiutare le mamme nella prevenzione della Depressione Post Partum. La Depressione Post-Partum (dal latino “dopo il parto”) è una particolare forma di disturbo nervoso che colpisce alcune donne già a partire dal 3° o 4° giorno dopo il parto, ma che può arrivare a manifestarsi anche a distanza di un anno.
Oltre il 70% delle madri, nei giorni immediatamente successivi al parto, manifestano sintomi leggeri di depressione, in una forma che il pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott ha denominato “Baby Blues”, con riferimento allo stato di malinconia (“blues”) che caratterizza il fenomeno. Si tratta quindi di una reazione piuttosto comune i cui sintomi includono delle crisi di pianto senza motivi apparenti, irritabilità, inquietudine e ansietà che tendono generalmente a scomparire nel giro di pochi giorni.
Ben più gravi e duraturi sono i sintomi della “depressione post-partum” che possono perdurare negli anni e che comprendono:
• indolenza
• affaticamento
• esaurimento
• disperazione
• inappetenza
• insonnia o sonno eccessivo
• confusione
• pianto inconsulto
• disinteresse per il bambino
• paura di far male al bambino o a se stessa
• improvvisi cambiamenti di umore
Il progetto che lo Studio Equilibrium propone punta a fornire un intervento di supporto alla mamma in modo da poter contrastare l’esordio di tale problematica e prevenire l’instaurarsi di eventuali complicazioni, sia per ciò che riguarda la salute della mamma stessa, sia in riferimento alla relazione mamma-bambino ma altresì alle relazioni familiari (relazioni con il partner, con eventuali altri figli, etc.).
Il progetto si articola su quattro tipi di intervento:
affiancamento domiciliare alla neomamma effettuato dalla Dott.ssa Roberta La Barbera, Psicologa e Psicoterapeuta, volto ad ascoltare l’eventuale disagio della mamma e ad aiutarla nella strutturazione di un’adeguata ed armonica relazione con il proprio bambino, nella risoluzione di problematiche della coppia di neogenitori e di problematiche di gelosia relative alla presenza eventuale di fratellini;
intervento psicologico volto a rafforzare l’autostima e la consapevolezza di sé e tecniche di rilassamento effettuato dalla Dott.ssa Silvia Giolitto, Psicologa e Psicoterapeuta
intervento di medicina della nutrizione con particolare riferimento al recupero della forma fisica della mamma, a consigli nella fase di allattamento
creazione del “Mamme caffè”, spazio di incontro per genitori (di bambini tendenzialmente fino ai 6 anni) che desiderano confrontarsi e condividere le loro esperienze. Il progetto è coordinato dalla Dott.ssa Roberta La Barbera, che sarà presente come facilitatrice durante gli incontri. Le tematiche saranno quelle che stanno più a cuore ai partecipanti, riguardanti i figli, l'essere genitori, le relazioni familiari. Al “Mamme caffè” è ben accetta, anzi auspicata, la presenza dei propri bambini.

mercoledì 28 gennaio 2015

PAPA’ SEPARATI: COME GESTIRE I RIMPROVERI


Quando si parla di bambini è sempre molto difficile affrontare il tema della separazione dei genitori, tema molto vasto che comprende vari aspetti: psicologici, sociali, economici, etc.
Nel pensare al taglio da dare a questo articolo, ho deciso di affrontare un aspetto specifico: la gestione dei rimproveri durante i week end in cui i figli sono con il papà.
La domanda che tante volte mi è stata posta da papà separati è: “come posso continuare a svolgere la mia funzione di padre, come posso educare i miei figli, rimproverarli quando serve, se li vedo un week end sì ed uno no?”, “cosa devono pensare i bambini, li vedo poco e per quel poco tempo li rimprovero pure?”
Si assiste allora a situazioni in cui il papà diviene un “intrattenitore”, qualcuno che per quel poco tempo in cui vede i suoi bambini pensa a come far trascorrere quelle ore, quelle giornate, a quali attività proporre, a come non farli annoiare, a come poterli accontentare. Bandita ogni quotidianità, ogni pranzo o cena a casa, bisogna trovare sempre qualcosa di bello da far fare ai bambini!
È pur vero che ogni situazione di separazione è differente dalle altre, che ci sono dinamiche che sono assolutamente singolari e particolari per ogni coppia, però è anche vero che molti papà si ritrovano a porsi le stesse domande.
Cosa fare allora?
È giusto che un bambino figlio di genitori separati non abbia diritto ad essere educato dal padre oltreché dalla madre?
È giusto che il papà venga considerato solo colui che “mi porta al parco, alle giostre e a mangiare al fast food?”
Chi dice che il tempo che i bambini trascorrono con il papà debba necessariamente essere un tempo piacevole, sereno, senza intoppi, senza difficoltà?
Mai nessuna relazione genitori figli è stata priva di difficoltà, una relazione improntata al mero divertimento ed intrattenimento è una relazione fittizia e quindi inadatta ad assicurare uno sviluppo sereno del bambino.
Bisogna accettare il fatto che i bambini devono essere educati e se è il caso richiamati anche dal papà nei due o tre giorni che stanno insieme. Se il bambino manifesta dei comportamenti tali da richiedere l’intervento dell’adulto, il papà ha tutto il diritto di intervenire! Non solo ne ha il diritto, ne ha il DOVERE!
Il bambino ha bisogno del padre oltreché della madre e ne ha bisogno da un lato come colui che, insieme alla mamma, concorda le regole, pone dei limiti e li fa rispettare, ne ha anche bisogno come punto di riferimento, come colui al quale identificarsi, come modello da seguire, anche quando nell’adolescenza questo modello non andrà più bene. Se non andrà bene sarà comunque per il fatto che c’è stato e che ora il ragazzo adolescente vi si contrappone, alla ricerca di una propria identità. Ma non possiamo distaccarci da qualcosa che non c’è stato, non possiamo contrapporci ad un modello se non lo abbiamo avuto!
Spesso i papà vivono con molta sofferenza e pesanti sensi di colpa la lontananza dai figli, e ciò li porta a non assumere mai un ruolo “scomodo”.
Non si tratta soltanto di come un bambino possa vivere negativamente il rapporto con il papà se questi lo richiama e gli fa seguire determinare regole, si tratta anche di come il papà stesso vive questa funzione, la conflittualità che ha in sé.
Possiamo affermare che è già difficile per i papà di oggi assumere una funzione che nel tempo si è enormemente modificata; spesso c’è disorientamento, c’è confusione, il papà non è più il detentore della legge, autoritario, con il quale “non ci si poteva parlare, si faceva come diceva lui e basta!”; oggi il papà entra in una relazione emotiva ed affettiva importante, si occupa dell’accudimento del bambino, i ruoli all’interno della famiglia sono molto più sfumati, a volte si sovrappongono.
Come gestire tutto questo in una situazione di separazione?
Vediamo cosa deve fare il papà ed anche cosa deve fare la mamma.
Il papà deve accettare di essere, talvolta, anche il destinatario della rabbia e dell’aggressività del bambino. Ogni bambino che viene richiamato o che deve seguire determinate regole prova rabbia ed aggressività, fastidio, nervosismo, il papà deve essere in grado di accogliere questi sentimenti quando si presentano, anche se si sta insieme solo due giorni; accoglierli ed elaborarli insieme al bambino “comprendo che tu sia arrabbiato perché non ti permetto di trascorrere tutto il tempo davanti al videogioco ma sai che c’è una regola secondo la quale si gioca con il videogioco un’ora al giorno e non di più! E questo vale sia quando sei con la mamma che con il papà!”.
E veniamo adesso al ruolo che la mamma riveste in tutto questo.
Ci si può chiedere “e che c’entra la mamma? Il bambino è da solo con il papà!”.
Mi è capitato molte volte di papà che si lamentano di aver rimproverato il proprio figlio ed essersi ritrovati sotto casa l’ex moglie, chiamata dal bambino, perché dopo il rimprovero non voleva più stare con il papà.
Cosa deve fare una mamma quando il bambino viene richiamato dal papà e telefona in lacrime dicendo “non ci voglio stare più con papà, vienimi a prendere!”.
Che messaggio trasmette la mamma al bambino rispondendo positivamente alla sua richiesta?
Andandolo a prendere la mamma squalifica completamente il papà, agli occhi del bambino non lo autorizza ad agire in quella determinata maniera, ad educarlo, a richiamarlo se sbaglia.
Si può comprendere molto bene l’angoscia di una mamma che sente al telefono il bambino che chiede il suo intervento, ma tante volte per il bene dei nostri figli dobbiamo gestire l’angoscia e fare la cosa più giusta pensando a lungo termine e non a breve termine.
A breve termine io risolvo il problema, il bambino piange, non vuole più stare con il papà che l’ha richiamato, o che non lo ha accontentato, lo vado a prendere e tutto si rasserena.
E a lungo termine?
La mamma sta impedendo al proprio figlio di sperimentare la propria relazione con il papà. Come dicevo più sopra le relazioni vere sono fatte di momenti belli e momenti brutti e tutti noi lo sappiamo se pensiamo alle nostre relazioni con i nostri genitori. Allora perché privare il bambino di sperimentare una lite con il papà, una lite che poi porterà ad un chiarimento e ad una riappacificazione, e dunque ad una crescita del rapporto tra i due?
Ogni mamma dovrebbe domandarselo!
“Ecco ancora una volta è colpa delle mamme” qualcuno starà pensando! Non è così. Non è una questione di colpe. Non è di questo che si tratta. Si tratta del peso che la “parola” della mamma ha per un bambino, dell’importanza che per un bambino hanno le reazioni della mamma.
Se un bambino va con il papà e vede che la mamma è tranquilla, vivrà anche lui in maniera più tranquilla il distacco dalla mamma e il tempo trascorso con il papà. Se percepisce l’ansia della mamma, invece, anche lui si mostrerà più ansioso.
Se alla fatidica telefonata “vienimi a prendere” la mamma si mostra comprensiva, ascolta ciò che è successo, ma invita il bambino a risolvere da solo con il papà il problema che si è posto, farà un grande favore al proprio figlio, gli permetterà di costruire e vivere un rapporto autentico con il padre e ogni bambino ne ha il diritto!
E quando sono i papà a telefonare alle mamme dicendo “vienilo a prendere perché non vuole più stare?”.
Anche qui la reazione della mamma può essere fondamentale per riportare il papà ad assumere il suo ruolo, a gestire da solo la relazione con il bambino e a non “auto screditarsi” agli occhi del figlio. Cosa può pensare un bambino che ascolta questa telefonata “papà non vede l’ora di liberarsi di me”, anche se non è vero, anche se il papà lo fa perché non riesce a gestire la difficoltà da solo e cerca una soluzione semplice, il bambino penserà sempre che “in fondo papà non ci tiene poi così tanto!”.


Dott.ssa Roberta La Barbera
Psicologa e Psicoterapeuta
Viale Croce Rossa, 77 Palermo
Mail. rob.lab@libero.it

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martedì 27 gennaio 2015

COME FARSI ASCOLTARE DAI PROPRI FIGLI SENZA URLARE


Sarà capitato a tutti di perdere la pazienza e di rimproverare il proprio figlio urlando. Perché lo si fa, ci si potrebbe chiedere? Le risposte possono essere le più svariate: perché non ascolta, perché non obbedisce, perché non segue le regole, fa i capricci etc.
Se ci facciamo caso, tutte queste risposte hanno a che fare con il comportamento o con l’atteggiamento del bambino stesso; la causa delle urla dei genitori sta in lui, nel bambino!!
Ma dobbiamo chiederci, invece, “perché a questi comportamenti io reagisco urlando? Cosa di questi atteggiamenti di mio figlio mi tocca a tal punto da dover urlare?”. Ci rendiamo allora conto che la necessità di urlare non è “causata” dal comportamento del bambino, tutt’al più è scatenata da esso, ma cosa ci sta alla base?
Facciamo un passo indietro!
Se è vero che tutti questi comportamenti del bambino portano un genitore a perdere completamente la pazienza, non è altrettanto vero che rimproverare urlando possa risolvere il problema.
Quando un genitore urla questo ha sul bambino più effetti.
Innanzitutto un genitore che urla è un genitore che non riesce a padroneggiare la situazione, che ha perso il controllo e che quindi non si mostra più quel punto di riferimento fermo e deciso che il bambino si aspetta e di cui ha bisogno.
Inoltre, se qualcuno ci urla contro in qualche misura ci sta attaccando e quando ci sentiamo attaccati la prima cosa che facciamo è difenderci. Come ci si difende da qualcuno che urla? È semplice, basta non ascoltarlo, “staccare l’audio”; ciò rende quindi inutile e inefficace tutto ciò che viene detto mentre si urla. Se noi urliamo i nostri figli molto semplicemente non ci ascoltano!
Infine, urlare è una manifestazione di aggressività e ciò porta il bambino a pensare che il genitore non gli voglia più bene, porta al senso di colpa e all’umiliazione, tutti sentimenti che spesso producono una forte reazione di rabbia nei confronti dei genitori, creando poi un circolo vizioso.
Allora come fare per rimproverare senza urlare?
Di certo ci vuole una grande dose di autocontrollo e di pazienza, ma ci sono dei piccoli accorgimenti che possiamo trovare e mettere in atto.
Quando capita di urlare chiediamoci sempre perché in quel momento lo stiamo facendo? Qual è il comportamento o l’azione del bambino che ci sta facendo urlare? Ad esempio “ha preso i colori e ha scarabocchiato la parete”. A questo punto possiamo chiederci “In che modo questa cosa poteva essere evitata?”, si possono trovare più risposte a questa domanda: “potevo evitare che i colori fossero a portata di mano”, “potevo spiegargli che non si scrive sulle pareti”, “potevo prendere un cartellone, appenderlo alla parete e permettergli di scarabocchiare solo quella parte”, e così via…
Questo esercizio mentale ci aiuterà a pensare sempre di più a lungo termine, cercando di prevedere le possibili conseguenze di determinati comportamenti.
Ma ormai il danno è fatto! E adesso? Possiamo chiederci “A cosa mi serve urlargli contro? E soprattutto a chi serve?”, di certo non serve al bambino, non è urlando che si eviterà il ripresentarsi di quel comportamento, forse serve un po’ di più come sfogo per il genitore, ma è uno sfogo che non è senza conseguenze, così come abbiamo visto in precedenza.
Come fare allora? Non lo si rimprovera? Certo che lo si rimprovera ma facendogli comprendere il perché quella determinata azione non va fatta. Prima del rimprovero, però, c’è un’altra cosa da fare: chiedere al bambino cosa abbia fatto, se comprenda cosa sia accaduto, perché lo ha fatto!
Non sono domande inutili, che non servono a nulla, anzi! Sono domande fondamentali, perché la percezione che abbiamo noi adulti non è la stessa percezione che hanno i bambini. Dal punto di vista dell’adulto uno scarabocchio sul muro è un comportamento inaccettabile, è un dispetto, è qualcosa che sporca, ma noi non sappiamo se il bambino lo ha fatto pensando così di far vedere quanto sia bravo alla mamma, o perché gli piacciono i colori o perché è divertente.
Chiedete sempre al bambino di parlarvi di quel determinato comportamento, fate delle domande semplici, che egli possa comprendere ed ascoltate le risposte, la maggior parte delle volte rimarrete sorpresi perché non vi aspettavate quella risposta!
Solo dopo aver ascoltato le ragioni del gesto da parte del bambino potete spiegargli il perché non doveva farlo, quali sono le conseguenze di quell’azione e successivamente comunicare al bambino qual è il prezzo da pagare per quello che ha fatto!
Per ogni azione che si compie si paga un prezzo, ciò farà sì che il comportamento non si manifesterà più! È questo che fa estinguere il comportamento e non le urla!
Pensate a come un bimbo piccolo possa pagare un prezzo simbolico per quello che ha fatto, per esempio fatevi aiutare a pulire (anche se non ne è capace ancora, fate finta che lo stia facendo!), oppure per quel giorno non si potrà andare al parco, etc.
Naturalmente la “punizione” è simbolica, non bisogna arrivare a punizioni eccessive (salti la merenda, non ti faccio vedere più la tv, etc.), anche perché queste spesso vengono date nel momento della rabbia e successivamente non vengono messe in atto proprio perché sono esagerate! E purtroppo nulla di più sbagliato, perché perderete ogni autorevolezza e ogni credibilità agli occhi del vostro bambino. Una volta un bambino in seduta mi ha detto: “io non ho paura delle punizioni dei miei genitori perché tanto l’ho capito che mi minacciano soltanto ma poi non mi puniscono mai!”.
Ed ora torniamo alla domanda che ci siamo posti all’inizio. Quale parte di me così intima e forse anche inconsapevole il comportamento di mio figlio va a toccare al punto da farmi perdere il lume della ragione e farmi cominciare ad urlare?
A questa domanda non c’è una risposta univoca! Ogni genitore ha la sua storia! Ma è di certo un buon esercizio mentale da fare per cercare di conoscerci sempre un po’ di più e cercare di comprendere quanto di noi stessi sia implicato nel rapporto con i nostri figli!

lunedì 12 gennaio 2015

STUDIARE: DIRITTO O DOVERE? 10 CONSIGLI PER FAR INTERESSARE I PROPRI FIGLI ALLO STUDIO


È universalmente noto che la maggior parte dei bambini e dei ragazzi non ami studiare: “è noioso”, “mi secca”, “preferisco fare altro”… sono tra le frasi più frequenti che noi genitori ci sentiamo ripetere.
“Vai a studiare”, “devi studiare”, “studia”, “ancora non hai iniziato?” sono le frasi più frequenti che, invece, si sentono ripetere i nostri figli.

In questa dinamica genitori figli chi è che domanda qualcosa a qualcun altro? Il genitore!!
Il genitore domanda al figlio di studiare!
Davanti alla domanda del genitore il figlio ha due possibilità: dire di sì o dire di no!

Ma è proprio vero che studiare sia una domanda del genitore? Come è possibile che ciò che era un diritto acquisito con grande sofferenza e sacrificio nel corso dei secoli, sia diventato ad un tratto un dovere???
Purtroppo spesso i nostri figli non riflettono sull’importanza dello studio, in quanto studiare è l’unica maniera per non essere assoggettati dall’altro, l’unico modo per essere liberi, liberi di pensare, di scegliere, di crearsi delle possibilità.
I ragazzi tutto ciò non lo considerano, e si ritrovano davanti qualcuno che chiede loro delle performance, sufficienti, alte, eccellenti, non importa, pur sempre delle performance, completamente distaccate dalla vita di tutti i giorni, delle performance che per i ragazzi sono fini a se stesse.
“Che me ne faccio della storia?”, “A che cosa mi servirà nella vita la geografia”, “Che senso ha studiare la grammatica”, etc. etc. Quante volte ce lo hanno ripetuto?
E quali sono le nostre risposte? Quali sono le risposte che ognuno di noi dà a queste domande dei nostri figli, domande assolutamente fondate?

È proprio qui il nocciolo della situazione! Il segreto per far sì che i bambini e i ragazzi possano essere motivati allo studio è quello di far notar loro come in ogni aspetto della nostra vita quotidiana ciò che studiamo possa tornarci utile.
Aiutare i nostri figli ad appassionarsi allo studio non è una missione facile, ma non è impossibile. Ci sono dei comportamenti e degli atteggiamenti che possono facilitarci la vita e che devono essere messi in atto fin da subito, fin dalle scuole elementari, perché anche se lì le cose sembrano più semplici da gestire verrà un momento, dalle scuole medie in poi, in cui tutto diventerà più complicato.

Cosa fare allora?

Vediamo insieme 10 punti fondamentali:

1) Studiare non è un bisogno dei genitori
L’errore più grande che si possa commettere è quello di trasmettere ai propri figli che siamo noi ad avere bisogno che loro studino. Quando utilizziamo l’imperativo “Vai a studiare” in realtà noi stiamo formulando una domanda “ti domando di studiare”, stiamo dicendo, tra le righe, che è importante per noi che loro studino, il che equivale a dire che loro ci stanno facendo un favore! Non è così! Se nostro figlio studia il favore lo sta facendo solo a se stesso!! Ma lui non lo sa! I bambini ed i ragazzi non pianificano a lungo termine, vivono più nel “qui ed ora” per cui per loro il problema si pone in quel momento e va risolto in quel momento, non mettono in atto quella capacità anticipatoria di pensare che ciò che faccio oggi mi servirà domani.
I genitori questo invece lo sanno, ed allora insistono sull’importanza dello studio per il futuro, ma per i ragazzi “c’è sempre tempo!”.
È importante riuscire a far cogliere questo ai nostri figli, parlare del come tutto ciò che facciamo nella nostra vita sia collegato, come il presente sia sempre una conseguenza del passato; se spieghiamo loro questo, mostrando anche degli esempi di vita vissuta, se partiamo dalle loro passioni che spieghiamo loro quale sia la strada migliore per realizzare i loro sogni, allora le nostre richieste non saranno più considerate un nostro bisogno ma il segno di un aiuto che vogliamo dar loro.

2) La funzione dei voti
“Prendo bei voti così mamma e papà sono contenti”! Spesso è quello che ci sentiamo dire dai bambini e dai ragazzi. Attraverso le votazioni che l’insegnante dà il bambino offre ai genitori una loro gratificazione narcisistica “mio figlio è bravo!”.
Nulla di più sbagliato! Se è vero che i voti sono importanti, non lo sono in quanto ritorno narcisistico ma in quanto feedback del rendimento scolastico del bambino. Attraverso il voto il bambino o il ragazzo può rendersi conto se tutto procede per il meglio, se ci sono delle materie in cui vi sono delle difficoltà o delle problematicità.
Il voto non ci dice nulla dell’essere di nostro figlio, non lo identifica né in positivo né in negativo.
Questo deve essere chiaro a noi genitori perché è attraverso il nostro rapporto con i voti e i giudizi degli insegnanti che nostro figlio può responsabilizzarsi rispetto al suo rendimento scolastico.
Se il suo essere viene a coincidere per noi con i voti “se hai voti alti sei bravo, per me vali molto”, “se hai voti bassi sei scarso e per me vali poco” nostro figlio sarà più interessato al voto che alle materie che sta studiando, perderà di vista il vero scopo dell’istruzione scolastica per focalizzarsi sul valore attribuito ai voti.
E ciò sia in positivo, ricercando quindi il voto alto, sia in negativo, continuando a prendere voti bassi e a deludere i genitori.
Il voto alto può essere, al limite, una gratificazione narcisistica solo ed esclusivamente per lui. Può essere il segno che ha studiato bene, che si è impegnato e che l’insegnante lo stima e lo premia.
Se c’è una relazione all’interno della quale il voto è importante non è la relazione con i genitori ma la relazione con l’insegnante. È in questa dialettica che il voto diventa importante!!
Per i genitori i voti sono soltanto degli indicatori, di qualcosa che funziona o di qualcosa che non funziona (come vedremo meglio quando parleremo delle eventuali punizioni).

3) Interessarsi a ciò che lui sta studiando
Se c’è un modo per far appassionare nostro figlio a ciò che studia è mostrare di esserne interessati anche noi. Se un bambino o un ragazzo ci deve ripetere una materia orale per lui sarà diverso se la ripeterà ad una persona che cerca solo di valutare se ha studiato bene o no oppure ad una persona che mostra interesse per quello di cui il figlio gli sta parlando.
Inoltre è sempre utile cercare di fare dei collegamenti tra quello che i nostri figli studiano e la vita reale, per esempio ricordando un luogo visitato in un viaggio oppure ricordando delle storie di vita familiari (racconti dei nonni, etc.).
Tante materie che i bambini studiano alle scuole elementari e alle scuole medie le abbiamo studiate anche noi, per cui potrebbe essere una buona strategia quella di “approfittare” del fatto che nostro figlio le stia studiando per “rinfrescarci la memoria”; vederci interessati e coinvolti probabilmente rende loro lo studio meno noioso.

4) Fare studiare i nostri figli da soli
Seguire i nostri figli nello studio, però, non significa affiancarli costantemente o peggio ancora far le cose al posto loro.
I bambini si devono abituare fin da subito a studiare da soli. Ciò li aiuta sia sul piano dell’autonomia sia su quello dell’autostima. Un bambino che studia con un adulto accanto avrà sempre la sensazione di non essere capace di farlo da solo, di aver sempre bisogno dell’altro!
Può darsi che sia una richiesta del bambino quella di averci accanto mentre fa i compiti. Perché ce lo chiede? Quando siamo seduti accanto a loro mentre studiano ci verrà quasi spontaneo aiutarli, correggerli e questo a loro fa comodo! Allora piuttosto che dire “No! Devi studiare da solo!”, possiamo sederci con loro e poi con una scusa allontanarci per qualche minuto, poi per una mezz’oretta e così via, fin quando riusciremo a farli studiare completamente da soli. Una strategia che personalmente ho utilizzato era quella di sedermi accanto a mio figlio e poi “ricordarmi” che dovevo preparare la cena, stirare una camicia, mettere in ordine un cassetto e così via “tu inizia a fare questo compito che intanto io metto in ordine la stanza e poi mi fai vedere quello che hai fatto oppure mi ripeti la storia, la geografia, e così via…”.
Farli studiare da soli li responsabilizza, li aiuta nel processo di acquisizione delle autonomie e soprattutto li fa crescere più sicuri di sé. Ma la nostra presenza è importante! Il genitore deve esserci! Ma deve tenersi, per così dire, a debita distanza. Una presenza non ingombrante, non invadente, non un controllo ma “se hai bisogno di me io ci sono!”, è questo quello che i nostri figli devono percepire!!

5) Non correggere ciò che fanno (non è un compito nostro) e non cancellare ciò che scrivono
Molto spesso i genitori correggono i compiti ai figli. Perché?? Correggere i compiti è una funzione che è riservata agli insegnanti. Sono loro che a partire dagli errori che i loro allievi compiono dovrebbero valutare il livello di preparazione, eventuali difficoltà o carenze. Quando un genitore corregge un compito al figlio non svolge questa funzione, ma semplicemente fa sì che all’insegnante venga consegnato un compito corretto e che il figlio sia valutato positivamente. A chi serve tutto ciò? Di certo non all’insegnante, di certo non allo studente, serve soltanto ed esclusivamente al genitore!! Ma che vuol dire? Perché un genitore dovrebbe proteggere il proprio figlio da una brutta valutazione (benché corretta) dell’insegnante?
Nel mio articolo “Come far crescere un figlio sicuro di sé” ho già parlato dei cosiddetti “genitori spazzaneve”, quei genitori che proteggono i loro figli e che nella risoluzione dei problemi si sostituiscono ai figli stessi; proteggendo i figli, quindi, proteggono anche se stessi dal pericolo di essere valutati negativamente. Una valutazione negativa del figlio, narcisisticamente diventa una valutazione negativa del genitore.
Un’altra cattiva abitudine è quella di cancellare ciò che i figli scrivono per farlo scrivere meglio ed in maniera più ordinata. Niente di più frustrante!!! Immaginatevi di aver scritto qualcosa, mettendoci comunque un impegno e di vederlo cancellato! La frustrazione sale e diventa rabbia ed aggressività. Non dico che non si debba aiutare i figli a migliorare la loro grafia (per quanto sia possibile) o a rispettare le linee ed i quadretti di un foglio, ma di certo non è cancellando il frutto di un loro lavoro (anche se fatto male) che ci si riesce!! Anche per questo non sostituitevi agli insegnanti, è compito loro quello di richiamare all’ordine e al rispetto degli spazi del quaderno o di rimproverare perché ciò che è scritto è illeggibile.

6) Non screditare gli insegnanti (anche quando potremmo avere ragione!)
E veniamo ad una nota dolente! Purtroppo oggi è diventata una cattiva abitudine quella di screditare gli insegnanti dando, già a priori, ragione al figlio quando si lamenta di qualcosa accaduta in classe.
Sempre più spesso i giudizi che i genitori danno sugli insegnanti sono dei giudizi negativi, volti a rassicurare il proprio figlio sulle sue ragioni!!
Nulla di più sbagliato! È risaputo da sempre, lo abbiamo vissuto anche noi da studenti, che le materie che più amiamo sono quelle insegnate dai maestri o dai professori che ci piacevano di più. L’insegnamento non è solo trasmissione di contenuti ma è soprattutto relazione!!
Nel momento in cui voi screditate agli occhi di vostro figlio un insegnante gli state dando una soddisfazione momentanea “i miei genitori sono dalla mia parte”, ma relativamente allo studio non sapete che danno state facendo. Vostro figlio non avrà alcun rispetto per quell’insegnante e non instaurerà quella relazione di stima, di supposizione di sapere che farà sì che egli possa studiare quella materia volentieri.
Probabilmente in alcune occasioni una critica all’insegnante potrebbe essere anche legittima; non tutti gli insegnanti sono debitamente preparati, non tutti riescono ad instaurare delle relazioni significative, etc. ma in ogni caso criticare l’insegnante davanti al proprio figlio è controproducente se il nostro obiettivo è quello che egli studi! Non sto dicendo che si debba fare come facevano i nostri genitori che “acriticamente” davano ragione all’insegnante! Ma può servire per esempio far vedere anche il punto di vista dell’insegnante, cercare di comprendere insieme al bambino o al ragazzo quali possano essere state le ragioni dell’insegnante per un determinato comportamento, restando assolutamente intransigenti per ciò che riguarda l’educazione e le buone maniere nei confronti, in ogni caso, di un adulto. La maleducazione nei confronti dell’insegnante, e in generale nei confronti di chiunque, non può mai avere una giustificazione!

7) Concordare insieme i tempi dello studio e i tempi delle pause
In generale viviamo in maniera più positiva qualcosa se abbiamo la sensazione di poterla gestire piuttosto che subirla. Un errore che spesso noi genitori commettiamo è quello di dettare i tempi dello studio, siamo noi a decidere quando nostro figlio deve iniziare a studiare! In realtà non è detto che debba essere così! “Si ma se non glielo dico io lui non si metterebbe mai a studiare”, “ma se non glielo impongo io lui rimanderebbe all’infinito”, questi sono i commenti che immagino alla mia frase di prima. Commenti assolutamente legittimi! I bambini ed i ragazzi, infatti, non hanno ancora sviluppato una buona capacità di pianificare le azioni ed anche la relazione con il tempo è qualcosa che si va imparando man mano che si cresce. Quindi è vero....se noi non decidessimo i tempi i nostri figli rimanderebbero all’infinito o quanto meno alla sera quando si renderebbero conto che stanno andando a letto impreparati! Eppure si può trovare un compromesso grazie al quale il genitore non impone un orario ma insieme se ne concorda uno “sono le 14 abbiamo appena finito di pranzare, ti riposi un po’ e poi che ne dici di iniziare a studiare alle 15?”. Alle 15 basterebbe ricordare l’ora e l’impegno che il bambino o il ragazzo aveva preso di iniziare a studiare. “Non è così facile!”. E’ vero, non è facile, probabilmente nostro figlio non si alzerà dal divano per mettersi a studiare. Possiamo iniziare a chiedergli di studiare per tutto il pomeriggio, possiamo iniziare ad urlare e a sgolarci oppure possiamo ricordare un’ultima volta l’impegno preso e davanti al suo menefreghismo attendere il momento in cui (e sarà troppo tardi) si renderà conto che ha rimandato fino a che si è fatto troppo tardi. Se per una volta gli facessimo sperimentare che il prezzo da pagare per il suo continuo rimandare è quello di andare a scuola impreparato probabilmente la volta successiva qualcosa potrebbe cambiare. Ma quale genitore tollera che il figlio possa andare un giorno a scuola impreparato? Eppure dovrebbe!! Spesso infatti mi è stato detto “studia all’ultimo momento e poi quando io sono stanca e voglio andare a letto mi devo mettere lì con lui a farlo studiare”, beh perché? Perché per una volta non rispondere “mi dispiace avevi tutto il pomeriggio a disposizione, adesso io sono stanca e vado a dormire, per questa volta andrai a scuola impreparato!”. Se noi fino all’ultimo siamo a disposizione per aiutarlo a fare i compiti, quando non ha studiato per tutto il giorno, gli trasmettiamo il nostro bisogno che lui studi, così come già detto nel primo punto!
Per quanto riguarda le pause, potrebbe essere utile inserire una pausa tra una materia e l’altra, durante la quale fare uno spuntino oppure una piccola distrazione per poi riprendere la concentrazione. Il livello d’attenzione e di concentrazione, infatti, tende a diminuire con il passare del tempo e il rendimento ne è inficiato. Anche in questo caso concordare prima che nostro figlio inizi a fare tutti i compiti quante pause ci saranno e di quale durata lo rassicureranno e renderanno l’impegno un po’ meno gravoso.

8) Far scegliere la materia dalla quale iniziare a studiare
Così come per i tempi e per le pause, anche la scelta della materia dalla quale iniziare a studiare può essere concordata insieme al bambino o ragazzo. Purtroppo, infatti, capita spesso che i genitori diano delle indicazioni che sono più degli imperativi su quale materia iniziare per prima, dando di solito priorità a quelle più difficili per poi arrivare a quelle più facili. Di solito ciò funziona, ma se si concorda anche questo con il proprio figlio, può darsi che egli preferisca iniziare dalle materie più facili per poi dedicarsi a quella più impegnativa. Se non siamo d’accordo, dovremmo quanto meno lasciargli la possibilità di sperimentare se questa strategia possa funzionare o meno, in modo da rendersi conto di persona che la scelta era errata.

9) Non usare le punizioni per lo studio!
Altro tema caldo! Le punizioni!! Che cosa sono le punizioni? “Hai preso un voto basso ed allora ti tolgo il cellulare per una settimana”, “Hai avuto una brutta pagella ed allora non ti mando più a fare sport”, etc. etc. Il modo migliore per fare odiare la scuola è questo!! Certo se condividiamo un’educazione fatta di paura e timore allora il mio discorso non sarà condiviso, ma se vogliamo educare i nostri figli nel rispetto reciproco e nel dialogo allora bisogna utilizzare altre strategie, “e allora che fare? Non studia e lo premio?”, questa di solito è la frase che mi sento dire quando affermo che le punizioni per la scuola non servono. Non si tratta né di punire né di premiare, si tratta di uscire da questa dialettica dei premi e delle punizioni, per entrare nella dialettica del “si paga un prezzo per ogni cosa!”. Responsabilizzare significa mettere il proprio figlio davanti alle conseguenze delle sue azioni. Se piuttosto che studiare preferisce andare in palestra, allora sarete costretti, per il vostro dovere di genitori, a non mandarlo più in palestra visto che non riesce a conciliare le due attività; se non studia perché sta tutto il tempo a chattare con il cellulare, allora vi costringerà e far posare il cellulare in un’altra stanza quando deve studiare. Direte “è la stessa cosa delle punizioni!” Non è così! La punizione è una vendetta e scatena rabbia ed aggressività! Far pagare un prezzo è un modo per responsabilizzare, per dire “ti avevo dato fiducia ma ho visto che ancora non sei abbastanza responsabile ed il mio dovere di genitore mi impone di intervenire”, anche questo scatenerà la rabbia ma non sarà percepita come un’ingiustizia, come nel caso, invece, della punizione e di conseguenza potrà avere degli effetti positivi, di maggiore responsabilità e consapevolezza. Ma prima di ogni cosa, se c’è una difficoltà nello studio, prima ancora dei prezzi da pagare, bisogna cercare di capire dove sta il problema. È facile pensare “è svogliato”! E dopo che ci siamo risposti così? Che facciamo? Che cosa vuol dire “svogliato”!! Forse c’è qualcosa di cui parlare ed da approfondire!

10) Non fare paragoni con noi “Io alla tua età…”
Se c’è una cosa che i nostri figli detestano è l’autocelebrazione dei genitori! “Io alla tua età già facevo questo, quello, etc. etc.”. Ai nostri figli non interessa, né funge da stimolo, anzi ottiene esattamente l’effetto contrario. La nostra autocelebrazione trasmette un messaggio di sfiducia e di critica nei loro confronti “Tu non sei come me”, un messaggio di rifiuto di qualcosa e sotto sotto l’aspettativa che il figlio debba essere come i genitori! Questo almeno è il modo in cui i nostri figli si vivono tutto ciò. Le risposte allora sono quasi spontanee “Beh io non sono come te”, “Io sono diverso da te” etc. I nostri figli fin da piccoli cercano di imporre il loro essere soggetti separati dai loro genitori, differenti da tutti gli altri, unici ai nostri occhi ed agli occhi degli altri. Metterli a confronto con noi, in un confronto in cui, per di più, ne escono perdenti, rappresenta un misconoscimento della loro soggettività, che viene anche criticata, indebolita dal paragone fatto con un altro che è già più grande di loro. In più, l’autocelebrazione può scatenare anche una reazione di stizza, di rabbia e mettere in moto delle dinamiche relazionali che hanno come obiettivo quello di “far scendere dal piedistallo” il genitore che vi si è messo, puntando a mettere in evidenza tutte le carenze, tutti i difetti, tutte le mancanze del genitore stesso.


Dott.ssa Roberta La Barbera
Psicologa e Psicoterapeuta
Viale Croce Rossa, 77 Palermo
Tel 3284212991
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giovedì 8 gennaio 2015

Citazione di Françoise Dolto

“Nessun bambino è senza genitori e nessun bambino è dei genitori. Ogni bambino è se stesso e, come tale, non assomiglia a nessuno. Nato dalla congiunzione di tre desideri: quello del padre, della madre e il suo, darà atto a una vita che dobbiamo riconoscere esserci ignota.”

domenica 4 gennaio 2015

PROGETTO VOLERSI BENE DONNA

“Volersi Bene Donna” è un progetto finalizzato al Benessere generale della Donna, non è una cura o una terapia ma un percorso per imparare ad avere rispetto di se stesse, a volersi bene e a ritrovare la serenità con sé e con gli altri.
E'rivolto alla Donna che vuole stare bene con se stessa riappropriandosi della propria vita in maniera autentica!