sabato 27 dicembre 2014

COME FARSI ASCOLTARE DAI PROPRI FIGLI SENZA URLARE

Sarà capitato a tutti di perdere la pazienza e di rimproverare il proprio figlio urlando. Perché lo si fa, ci si potrebbe chiedere? Le risposte possono essere le più svariate: perché non ascolta, perché non obbedisce, perché non segue le regole, fa i capricci etc.
Se ci facciamo caso, tutte queste risposte hanno a che fare con il comportamento o con l’atteggiamento del bambino stesso; la causa delle urla dei genitori sta in lui, nel bambino!!
Ma dobbiamo chiederci, invece, “perché a questi comportamenti io reagisco urlando? Cosa di questi atteggiamenti di mio figlio mi tocca a tal punto da dover urlare?”. Ci rendiamo allora conto che la necessità di urlare non è “causata” dal comportamento del bambino, tutt’al più è scatenata da esso, ma cosa ci sta alla base?
Facciamo un passo indietro!
Se è vero che tutti questi comportamenti del bambino portano un genitore a perdere completamente la pazienza, non è altrettanto vero che rimproverare urlando possa risolvere il problema.
Quando un genitore urla questo ha sul bambino più effetti.
Innanzitutto un genitore che urla è un genitore che non riesce a padroneggiare la situazione, che ha perso il controllo e che quindi non si mostra più quel punto di riferimento fermo e deciso che il bambino si aspetta e di cui ha bisogno.
Inoltre, se qualcuno ci urla contro in qualche misura ci sta attaccando e quando ci sentiamo attaccati la prima cosa che facciamo è difenderci. Come ci si difende da qualcuno che urla? È semplice, basta non ascoltarlo, “staccare l’audio”; ciò rende quindi inutile e inefficace tutto ciò che viene detto mentre si urla. Se noi urliamo i nostri figli molto semplicemente non ci ascoltano!
Infine, urlare è una manifestazione di aggressività e ciò porta il bambino a pensare che il genitore non gli voglia più bene, porta al senso di colpa e all’umiliazione, tutti sentimenti che spesso producono una forte reazione di rabbia nei confronti dei genitori, creando poi un circolo vizioso.
Allora come fare per rimproverare senza urlare?
Di certo ci vuole una grande dose di autocontrollo e di pazienza, ma ci sono dei piccoli accorgimenti che possiamo trovare e mettere in atto.
Quando capita di urlare chiediamoci sempre perché in quel momento lo stiamo facendo? Qual è il comportamento o l’azione del bambino che ci sta facendo urlare? Ad esempio “ha preso i colori e ha scarabocchiato la parete”. A questo punto possiamo chiederci “In che modo questa cosa poteva essere evitata?”, si possono trovare più risposte a questa domanda: “potevo evitare che i colori fossero a portata di mano”, “potevo spiegargli che non si scrive sulle pareti”, “potevo prendere un cartellone, appenderlo alla parete e permettergli di scarabocchiare solo quella parte”, e così via…
Questo esercizio mentale ci aiuterà a pensare sempre di più a lungo termine, cercando di prevedere le possibili conseguenze di determinati comportamenti.
Ma ormai il danno è fatto! E adesso? Possiamo chiederci “A cosa mi serve urlargli contro? E soprattutto a chi serve?”, di certo non serve al bambino, non è urlando che si eviterà il ripresentarsi di quel comportamento, forse serve un po’ di più come sfogo per il genitore, ma è uno sfogo che non è senza conseguenze, così come abbiamo visto in precedenza.
Come fare allora? Non lo si rimprovera? Certo che lo si rimprovera ma facendogli comprendere il perché quella determinata azione non va fatta. Prima del rimprovero, però, c’è un’altra cosa da fare: chiedere al bambino cosa abbia fatto, se comprenda cosa sia accaduto, perché lo ha fatto!
Non sono domande inutili, che non servono a nulla, anzi! Sono domande fondamentali, perché la percezione che abbiamo noi adulti non è la stessa percezione che hanno i bambini. Dal punto di vista dell’adulto uno scarabocchio sul muro è un comportamento inaccettabile, è un dispetto, è qualcosa che sporca, ma noi non sappiamo se il bambino lo ha fatto pensando così di far vedere quanto sia bravo alla mamma, o perché gli piacciono i colori o perché è divertente.
Chiedete sempre al bambino di parlarvi di quel determinato comportamento, fate delle domande semplici, che egli possa comprendere ed ascoltate le risposte, la maggior parte delle volte rimarrete sorpresi perché non vi aspettavate quella risposta!
Solo dopo aver ascoltato le ragioni del gesto da parte del bambino potete spiegargli il perché non doveva farlo, quali sono le conseguenze di quell’azione e successivamente comunicare al bambino qual è il prezzo da pagare per quello che ha fatto!
Per ogni azione che si compie si paga un prezzo, ciò farà sì che il comportamento non si manifesterà più! È questo che fa estinguere il comportamento e non le urla!
Pensate a come un bimbo piccolo possa pagare un prezzo simbolico per quello che ha fatto, per esempio fatevi aiutare a pulire (anche se non ne è capace ancora, fate finta che lo stia facendo!), oppure per quel giorno non si potrà andare al parco, etc.
Naturalmente la “punizione” è simbolica, non bisogna arrivare a punizioni eccessive (salti la merenda, non ti faccio vedere più la tv, etc.), anche perché queste spesso vengono date nel momento della rabbia e successivamente non vengono messe in atto proprio perché sono esagerate! E purtroppo nulla di più sbagliato, perché perderete ogni autorevolezza e ogni credibilità agli occhi del vostro bambino. Una volta un bambino in seduta mi ha detto: “io non ho paura delle punizioni dei miei genitori perché tanto l’ho capito che mi minacciano soltanto ma poi non mi puniscono mai!”.
Ed ora torniamo alla domanda che ci siamo posti all’inizio. Quale parte di me così intima e forse anche inconsapevole il comportamento di mio figlio va a toccare al punto da farmi perdere il lume della ragione e farmi cominciare ad urlare?
A questa domanda non c’è una risposta univoca! Ogni genitore ha la sua storia! Ma è di certo un buon esercizio mentale da fare per cercare di conoscerci sempre un po’ di più e cercare di comprendere quanto di noi stessi sia implicato nel rapporto con i nostri figli!

lunedì 22 dicembre 2014

RELAZIONE DI COPPIA CON L’ARRIVO DI UN FIGLIO, VITA SESSUALE,MATERNITÀ E PATERNITÀ


Molto spesso nel discorso comune si pensa che, per la donna, la femminilità trovi la sua massima espressione nella maternità.

Questa convinzione è alla base di tutta una serie di problematiche che spesso i neogenitori si trovano ad affrontare, sia nella relazione con il proprio bambino, sia nella relazione tra i due partner stessi.

Tale convinzione è radicata in entrambi i sessi, infatti, succede che alcune donne, nel momento in cui iniziano una gravidanza, rifiutino categoricamente l’attività sessuale con il partner, altre vivono un calo del desiderio che se subito dopo il parto può essere legato a fattori ormonali, se si protrae nel tempo risente di un vissuto di incompatibilità tra sessualità e maternità.

La stessa convinzione, però, come già detto si ritrova anche in alcuni uomini i quali, nel momento in cui la propria compagna diviene “madre” non riescono più a considerarla “donna”, a considerarla “oggetto di desiderio” ed anche per loro può subentrare un calo libidico.

Ciò comporta non poche difficoltà poiché viene meno la dimensione di coppia, la relazione speciale ed esclusiva tra un uomo ed una donna; i genitori si ritrovano solo in una dimensione familiare, al cui centro c’è il bambino e la relazione tra di loro è una relazione in quanto “genitori di…”.

Diceva il famoso psicoanalista francese Jacques Lacan “un padre ha diritto all’amore e al rispetto dei proprio figlio solo se fa della sua donna l’oggetto causa del suo desiderio”. In parole semplici, il bambino non percepisce soltanto l’amore che i genitori hanno per lui, ma ciò che per lui conta ed ha una funzione importante nella sua crescita è l’amore che egli percepisce tra mamma e papà, è la convinzione di essere nato in una relazione di desiderio, desiderio che egli venga al mondo, desiderio di diventare madre e padre, ma anche desiderio di coppia, desiderio tra un uomo e una donna.

Purtroppo spesso assistiamo nel nostro lavoro a situazioni in cui una mamma perde qualunque interesse per il suo compagno, essendo concentrata solo sulla cura e sull’accudimento del bambino e a papà che invece di “recriminare” un po’ di attenzioni anche per loro, invece di svolgere la funzione alla quale sono deputati, la funzione paterna, si allontanano sempre di più, con tutto ciò che questo comporta relativamente alle crisi di coppia che si verificano dopo la nascita di un figlio.

La funzione paterna è quella funzione che un uomo assume su di sé nel momento in cui nasce suo figlio; prima ancora che una funzione educativa è una funzione normativa, è cioè una funzione che ha a che fare con la legge. Un padre deve introdurre delle norme, delle regole e la prima serve a regolare la madre rispetto al figlio, a introdursi in quanto elemento terzo nella relazione tra madre e bambino, relazione che spesso, in assenza di questa funzione può divenire simbiotica, fusionale, causando non pochi problemi per un sano sviluppo del bimbo. Basti pensare alla diffusa apprensione, all’ansia delle madri che talvolta, nei casi più gravi, arriva ad impedire al bambino la sperimentazione delle prime e fondamentali esperienze di vita; non di rado mi è capitato di incontrare madri che hanno alimentato il proprio bambino con cibi semiliquidi fino all’inserimento alla scuola materna per timore che soffocasse, o madri che tengono i figli in casa per timore della febbre o dell’influenza privandoli della possibilità di andare al parco a giocare, di prendere contatto con altri bambini, etc. La funzione paterna serve anche a questo: ad arginare l’ansia materna, a porre un limite e a fornire al bambino più spazio di sperimentazione.

Ma ciò è possibile quando il padre non molla circa il suo desiderio nei confronti della sua donna e le dice: “guarda che ci sono anche io, che io sono il tuo uomo e tu sei la mia donna, indipendentemente dal fatto che adesso siamo genitori del nostro meraviglioso bambino”.

Dunque essere dei genitori attenti al proprio bambino, dei genitori che riescano a garantire un sereno ed armonico sviluppo al proprio figlio non significa essere sempre presenti con lui, ma significa anche riuscire a ritagliarsi uno spazio solo per la coppia, in cui essere un uomo ed una donna, che si vogliono, che si desiderano e che sanno stare bene insieme anche senza la presenza del loro bambino. Questo spesso viene vissuto con sensi di colpa da parte dei genitori che pensano di star togliendo qualcosa al piccolo, ma invece non sanno che quello che gli fanno è un dono, il dono di avere due genitori tra i quali circola l’amore e il desiderio.

Dott.ssa Roberta La Barbera

COME FAR CRESCERE UN FIGLIO SICURO DI SE’

In Gran Bretagna si utilizza l’espressione “genitori spazzaneve” per indicare quei genitori che come uno spazzaneve cercano in ogni modo di “aprire la strada” ai propri figli, “ripulendola” da ogni difficoltà, da ogni problema o ostacolo.
Vediamo questo atteggiamento così diffuso al giorno d’oggi e nella nostra società sotto due aspetti: il versante genitori ed il versante figli.

Sul versante genitori la domanda che sorge è “perché?”. Perché i genitori fanno di tutto per facilitare la vita dei propri figli, per trovare sempre essi stessi una soluzione alle problematiche del bambino o del ragazzo? Cosa li spinge a farlo?

È diffusa sul web una vignetta che confronta gli anni ’80 agli anni 2000. La vignetta è la seguente: vi sono due genitori, un bambino ed una maestra. Nella prima vignetta (anni ’80) i genitori, davanti alla maestra, si rivolgono al bambino, con un foglietto in mano, con espressione di rimprovero, chiedendo “cos’è questa nota?”, nella seconda vignetta (anni 2000) i genitori, sempre con la stessa espressione di rimprovero e lo stesso foglietto in mano, davanti al bambino questa volta, si rivolgono alla maestra, chiedendo “cos’è questa nota?”.

Gli insegnanti sanno bene a cosa si riferisca questa vignetta, lo vivono ogni giorno. Leggiamo delle notizie che ci lasciano alquanto perplessi, come ad esempio la storia di quell’insegnante che ha sequestrato il telefonino al ragazzino di terza media perché durante le ore di lezione guardava dei video dal contenuto pornografico e che contattata la famiglia per comunicare l’accaduto si ritrova davanti la madre del ragazzo accompagnata dal suo avvocato ed una denuncia per furto!!
Ci possiamo chiedere: cosa spinge una madre a compiere un’azione del genere?

È un discorso molto complesso che cerchiamo ora di semplificare.
Nella società contemporanea, come mai in altre epoche, società in cui vige una cultura del narcisismo, i figli spesso sono considerati dai genitori come “parte di sé”. Il figlio è considerato “un pezzo di me”, qualcuno che mi rappresenta, che con il suo fare esprime qualcosa di me! Questo modo di concepire i propri figli ha delle conseguenze devastanti. Vediamo perché.
I figli che si ritrovano con genitori per i quali essi sono solo un prolungamento del sé, vengono annientati, schiacciati nella loro soggettività. Non sono più persone separate dai loro genitori, ma in quanto loro “parti” devono rispondere ad una ingiunzione “devi essere come io voglio che tu sia”. Quante volte sentiamo dire “io non avuto nulla ed allora a mio figlio non deve mancare nulla”, “io non ho potuto fare sport ed allora mio figlio farà tutti gli sport che vuole” e così via! Chi ottiene una soddisfazione con questo modo di fare? La risposta è ovvia: il genitore!!

Spesso i genitori, nel loro processo educativo, piuttosto che condividere lo stile educativo dei loro stessi genitori “quando ero ragazzo i miei genitori mi facevano arrabbiare ma ora capisco che avevano ragione” si identificano ancora nel ragazzo frustrato e privato di qualcosa che erano ai tempi della loro infanzia o adolescenza! “I miei genitori mi proibivano di rientrare tardi la sera ed allora quello che io provavo mia figlia non lo deve provare e quindi può rientrare quando vuole”!

Non è detto che lo stile educativo dei nostri genitori fosse privo di errori, visto che tra l’altro ha prodotto tutto questo! Ha prodotto, cioè, una “non crescita”, un “non diventare adulti”, una generazione di “genitori bambini o genitori adolescenti” che abdicano al loro ruolo scomodo di educatori per identificarsi nel bambino e nell’adolescente stesso. Uno stile educativo, anche sbagliato, dunque, non è stato sostituito da un altro stile educativo, ma da un “abdicare” in favore di una genitorialità adolescenziale.

Ecco che allora viene più semplice comprendere il perché tali genitori siano degli “spazzaneve”, perché in effetti colui che viene protetto è sì il figlio, ma il figlio in quanto rappresentazione di se stessi. Ogni problema, ogni ostacolo non lo è solo ed esclusivamente per il figlio, ma per i genitori stessi.

Quante volte ci ritroviamo davanti a dinamiche patologiche tra genitori e figli relativamente allo studio! Tante volte mi è capitato nella mia pratica di mamme che fanno i compiti al posto dei loro figli, di mamme con il cellulare pronto a ricevere le tracce del tema in classe via sms o via whatsapp!

Spesso studiare è una domanda dei genitori, è un loro bisogno e i bambini ed i ragazzi lo percepiscono molto bene! Studiano per fare contenti mamma e papà oppure non studiano per fare arrabbiare mamma e papà. Lo studio rientra in una dinamica genitori-figli in cui se il bambino o il ragazzo è in linea con i genitori allora studierà, se si mette in contrapposizione allora non studierà, perdendo completamente di vista il fatto che lo studio riguarda soltanto se stesso e non la relazione con l’altro!
Davanti alle angosce del proprio figlio, normali in un processo di crescita, i genitori non riescono a rappresentare un punto fermo e deciso di riferimento ma si angosciano a loro volta, cercando quindi di risolvere il problema in prima persona non tanto per alleviare l’angoscia del figlio, ma quanto per alleviare la propria!

Se mio figlio ha problemi con i compagni non gli dico “figlio mio devi risolvertela da solo” ma vado io in prima persona, mi sostituisco a lui!

E a questo punto veniamo al versante figli.

Se è vero che è comodo avere dei genitori che ci risolvono tutti i problemi o che ci eliminano tutti gli ostacoli, è altrettanto vero che ciò ha un prezzo altissimo da pagare.

Il prezzo che si paga si chiama “autostima”. I genitori spazzaneve crescono dei figli sempre più insicuri di sé!
Perché? Cosa accade nella mente di un bambino e di un ragazzo?

Un genitore che si sostituisce a me nella soluzione dei miei problemi che messaggio mi sta dando? Che cosa mi sta dicendo? “Tu sei incapace”, “tu non sei all’altezza della situazione”!
Ecco cosa succede! Il bambino, il ragazzo penserà di non essere in grado, di avere sempre bisogno di qualcuno che lo aiuti nella risoluzione dei suoi problemi e ciò avrà sempre il valore di quella che si chiama in psicologia “profezia che si auto avvera”, più il bambino o il ragazzo si convincerà di questo più nella sua vita farà in modo di trovarsi in situazioni che confermino tale teoria, non sperimentandosi mai da solo, non rischiando mai di fallire, in breve non crescendo mai!

Cos’è la crescita, infatti, se non l’insieme di esperienze che ci portano ad uno sviluppo di noi stessi, esperienze positive ma anche, se non soprattutto, negative! Il bambino e l’adolescente hanno bisogno di sbagliare, di fallire, di commettere degli errori, solo così potranno imparare ad affrontarli, a farne tesoro. Solo così si potranno mettere in gioco e sperimentare anche il successo, il proprio successo e non quello dei genitori!

Evitando ai propri figli il fallimento, perché il fallimento di mio figlio è il mio stesso fallimento, gli impedisco allo stesso tempo di sperimentare il successo, perché anche il successo di mio figlio sarà il mio stesso successo! E mio figlio non potrà mai dire “è solo merito mio” ma sarà ogni volta costretto ad ammettere “è merito di chi mi ha aiutato”!

Dott.ssa Roberta La Barbera
https://www.facebook.com/pages/Studio-Equilibrium/1430604813886048

lunedì 15 dicembre 2014

venerdì 12 dicembre 2014

Lo Studio Equilibrium è lieto di presentare il nuovo Progetto "Volersi bene Donna"


giovedì 11 dicembre 2014

COME FAR CRESCERE UN FIGLIO SICURO DI SE’

In Gran Bretagna si utilizza l’espressione “genitori spazzaneve” per indicare quei genitori che come uno spazzaneve cercano in ogni modo di “aprire la strada” ai propri figli, “ripulendola” da ogni difficoltà, da ogni problema o ostacolo.
 Vediamo questo atteggiamento così diffuso al giorno d’oggi e nella nostra società sotto due aspetti: il versante genitori ed il versante figli.

Sul versante genitori la domanda che sorge è “perché?”. Perché i genitori fanno di tutto per facilitare la vita dei propri figli, per trovare sempre essi stessi una soluzione alle problematiche del bambino o del ragazzo? Cosa li spinge a farlo?
È diffusa sul web una vignetta che confronta gli anni ’80 agli anni 2000. La vignetta è la seguente: vi sono due genitori, un bambino ed una maestra. Nella prima vignetta (anni ’80) i genitori, davanti alla maestra, si rivolgono al bambino, con un foglietto in mano, con espressione di rimprovero, chiedendo “cos’è questa nota?”, nella seconda vignetta (anni 2000) i genitori, sempre con la stessa espressione di rimprovero e lo stesso foglietto in mano, davanti al bambino questa volta, si rivolgono alla maestra, chiedendo “cos’è questa nota?”.
Gli insegnanti sanno bene a cosa si riferisca questa vignetta, lo vivono ogni giorno. Leggiamo delle notizie che ci lasciano alquanto perplessi, come ad esempio la storia di quell’insegnante che ha sequestrato il telefonino al ragazzino di terza media perché durante le ore di lezione guardava dei video dal contenuto pornografico e che contattata la famiglia per comunicare l’accaduto si ritrova davanti la madre del ragazzo accompagnata dal suo avvocato ed una denuncia per furto!!
Ci possiamo chiedere: cosa spinge una madre a compiere un’azione del genere?
È un discorso molto complesso che cerchiamo ora di semplificare.
Nella società contemporanea, come mai in altre epoche, società in cui vige una cultura del narcisismo, i figli spesso sono considerati dai genitori come “parte di sé”. Il figlio è considerato “un pezzo di me”, qualcuno che mi rappresenta, che con il suo fare esprime qualcosa di me! Questo modo di concepire i propri figli ha delle conseguenze devastanti. Vediamo perché.
I figli che si ritrovano con genitori per i quali essi sono solo un prolungamento del sé, vengono annientati, schiacciati nella loro soggettività. Non sono più persone separate dai loro genitori, ma in quanto loro “parti” devono rispondere ad una ingiunzione “devi essere come io voglio che tu sia”. Quante volte sentiamo dire “io non avuto nulla ed allora a mio figlio non deve mancare nulla”, “io non ho potuto fare sport ed allora mio figlio farà tutti gli sport che vuole” e così via! Chi ottiene una soddisfazione con questo modo di fare? La risposta è ovvia: il genitore!!
Spesso i genitori, nel loro processo educativo, piuttosto che condividere lo stile educativo dei loro stessi genitori “quando ero ragazzo i miei genitori mi facevano arrabbiare ma ora capisco che avevano ragione” si identificano ancora nel ragazzo frustrato e privato di qualcosa che erano ai tempi della loro infanzia o adolescenza! “I miei genitori mi proibivano di rientrare tardi la sera ed allora quello che io provavo mia figlia non lo deve provare e quindi può rientrare quando vuole”!
Non è detto che lo stile educativo dei nostri genitori fosse privo di errori, visto che tra l’altro ha prodotto tutto questo! Ha prodotto, cioè, una “non crescita”, un “non diventare adulti”, una generazione di “genitori bambini o genitori adolescenti” che abdicano al loro ruolo scomodo di educatori per identificarsi nel bambino e nell’adolescente stesso. Uno stile educativo, anche sbagliato, dunque, non è stato sostituito da un altro stile educativo, ma da un “abdicare” in favore di una genitorialità adolescenziale.
Ecco che allora viene più semplice comprendere il perché tali genitori siano degli “spazzaneve”, perché in effetti colui che viene protetto è sì il figlio, ma il figlio in quanto rappresentazione di se stessi. Ogni problema, ogni ostacolo non lo è solo ed esclusivamente per il figlio, ma per i genitori stessi.
Quante volte ci ritroviamo davanti a dinamiche patologiche tra genitori e figli relativamente allo studio! Tante volte mi è capitato nella mia pratica di mamme che fanno i compiti al posto dei loro figli, di mamme con il cellulare pronto a ricevere le tracce del tema in classe via sms o via whatsapp!
Spesso studiare è una domanda dei genitori, è un loro bisogno e i bambini ed i ragazzi lo percepiscono molto bene! Studiano per fare contenti mamma e papà oppure non studiano per fare arrabbiare mamma e papà. Lo studio rientra in una dinamica genitori-figli in cui se il bambino o il ragazzo è in linea con i genitori allora studierà, se si mette in contrapposizione allora non studierà, perdendo completamente di vista il fatto che lo studio riguarda soltanto se stesso e non la relazione con l’altro!
Davanti alle angosce del proprio figlio, normali in un processo di crescita, i genitori non riescono a rappresentare un punto fermo e deciso di riferimento ma si angosciano a loro volta, cercando quindi di risolvere il problema in prima persona non tanto per alleviare l’angoscia del figlio, ma quanto per alleviare la propria!
Se mio figlio ha problemi con i compagni non gli dico “figlio mio devi risolvertela da solo” ma vado io in prima persona, mi sostituisco a lui!
E a questo punto veniamo al versante figli.
Se è vero che è comodo avere dei genitori che ci risolvono tutti i problemi o che ci eliminano tutti gli ostacoli, è altrettanto vero che ciò ha un prezzo altissimo da pagare.
Il prezzo che si paga si chiama “autostima”. I genitori spazzaneve crescono dei figli sempre più insicuri di sé!
Perché? Cosa accade nella mente di un bambino e di un ragazzo?
Un genitore che si sostituisce a me nella soluzione dei miei problemi che messaggio mi sta dando? Che cosa mi sta dicendo? “Tu sei incapace”, “tu non sei all’altezza della situazione”!
Ecco cosa succede! Il bambino, il ragazzo penserà di non essere in grado, di avere sempre bisogno di qualcuno che lo aiuti nella risoluzione dei suoi problemi e ciò avrà sempre il valore di quella che si chiama in psicologia “profezia che si auto avvera”, più il bambino o il ragazzo si convincerà di questo più nella sua vita farà in modo di trovarsi in situazioni che confermino tale teoria, non sperimentandosi mai da solo, non rischiando mai di fallire, in breve non crescendo mai!
Cos’è la crescita, infatti, se non l’insieme di esperienze che ci portano ad uno sviluppo di noi stessi, esperienze positive ma anche, se non soprattutto, negative! Il bambino e l’adolescente hanno bisogno di sbagliare, di fallire, di commettere degli errori, solo così potranno imparare ad affrontarli, a farne tesoro. Solo così si potranno mettere in gioco e sperimentare anche il successo, il proprio successo e non quello dei genitori!
Evitando ai propri figli il fallimento, perché il fallimento di mio figlio è il mio stesso fallimento, gli impedisco allo stesso tempo di sperimentare il successo, perché anche il successo di mio figlio sarà il mio stesso successo! E mio figlio non potrà mai dire “è solo merito mio” ma sarà ogni volta costretto ad ammettere “è merito di chi mi ha aiutato”!

Dott.ssa Roberta La Barbera

RELAZIONE DI COPPIA CON L’ARRIVO DI UN FIGLIO, VITA SESSUALE,MATERNITÀ E PATERNITÀ

Molto spesso nel discorso comune si pensa che, per la donna, la femminilità trovi la sua massima espressione nella maternità. Questa convinzione è alla base di tutta una serie di problematiche che spesso i neogenitori si trovano ad affrontare, sia nella relazione con il proprio bambino, sia nella relazione tra i due partner stessi.
Tale convinzione è radicata in entrambi i sessi, infatti, succede che alcune donne, nel momento in cui iniziano una gravidanza, rifiutino categoricamente l’attività sessuale con il partner, altre vivono un calo del desiderio che se subito dopo il parto può essere legato a fattori ormonali, se si protrae nel tempo risente di un vissuto di incompatibilità tra sessualità e maternità.
La stessa convinzione, però, come già detto si ritrova anche in alcuni uomini i quali, nel momento in cui la propria compagna diviene “madre” non riescono più a considerarla “donna”, a considerarla “oggetto di desiderio” ed anche per loro può subentrare un calo libidico.
Ciò comporta non poche difficoltà poiché viene meno la dimensione di coppia, la relazione speciale ed esclusiva tra un uomo ed una donna; i genitori si ritrovano solo in una dimensione familiare, al cui centro c’è il bambino e la relazione tra di loro è una relazione in quanto “genitori di…”.
Diceva il famoso psicoanalista francese Jacques Lacan “un padre ha diritto all’amore e al rispetto dei proprio figlio solo se fa della sua donna l’oggetto causa del suo desiderio”. In parole semplici, il bambino non percepisce soltanto l’amore che i genitori hanno per lui, ma ciò che per lui conta ed ha una funzione importante nella sua crescita è l’amore che egli percepisce tra mamma e papà, è la convinzione di essere nato in una relazione di desiderio, desiderio che egli venga al mondo, desiderio di diventare madre e padre, ma anche desiderio di coppia, desiderio tra un uomo e una donna.
Purtroppo spesso assistiamo nel nostro lavoro a situazioni in cui una mamma perde qualunque interesse per il suo compagno, essendo concentrata solo sulla cura e sull’accudimento del bambino e a papà che invece di “recriminare” un po’ di attenzioni anche per loro, invece di svolgere la funzione alla quale sono deputati, la funzione paterna, si allontanano sempre di più, con tutto ciò che questo comporta relativamente alle crisi di coppia che si verificano dopo la nascita di un figlio.
La funzione paterna è quella funzione che un uomo assume su di sé nel momento in cui nasce suo figlio; prima ancora che una funzione educativa è una funzione normativa, è cioè una funzione che ha a che fare con la legge. Un padre deve introdurre delle norme, delle regole e la prima serve a regolare la madre rispetto al figlio, a introdursi in quanto elemento terzo nella relazione tra madre e bambino, relazione che spesso, in assenza di questa funzione può divenire simbiotica, fusionale, causando non pochi problemi per un sano sviluppo del bimbo. Basti pensare alla diffusa apprensione, all’ansia delle madri che talvolta, nei casi più gravi, arriva ad impedire al bambino la sperimentazione delle prime e fondamentali esperienze di vita; non di rado mi è capitato di incontrare madri che hanno alimentato il proprio bambino con cibi semiliquidi fino all’inserimento alla scuola materna per timore che soffocasse, o madri che tengono i figli in casa per timore della febbre o dell’influenza privandoli della possibilità di andare al parco a giocare, di prendere contatto con altri bambini, etc. La funzione paterna serve anche a questo: ad arginare l’ansia materna, a porre un limite e a fornire al bambino più spazio di sperimentazione.
Ma ciò è possibile quando il padre non molla circa il suo desiderio nei confronti della sua donna e le dice: “guarda che ci sono anche io, che io sono il tuo uomo e tu sei la mia donna, indipendentemente dal fatto che adesso siamo genitori del nostro meraviglioso bambino”.
Dunque essere dei genitori attenti al proprio bambino, dei genitori che riescano a garantire un sereno ed armonico sviluppo al proprio figlio non significa essere sempre presenti con lui, ma significa anche riuscire a ritagliarsi uno spazio solo per la coppia, in cui essere un uomo ed una donna, che si vogliono, che si desiderano e che sanno stare bene insieme anche senza la presenza del loro bambino. Questo spesso viene vissuto con sensi di colpa da parte dei genitori che pensano di star togliendo qualcosa al piccolo, ma invece non sanno che quello che gli fanno è un dono, il dono di avere due genitori tra i quali circola l’amore e il desiderio.
Dott.ssa Roberta La Barbera

Baby Blues e Depressione Post Partum

È molto più frequente di quanto si creda che i primi giorni della maternità siano caratterizzati, per la mamma, da una forma di tristezza.
Il senso comune può considerare ciò insolito, inconsueto, “perché una mamma che ha appena realizzato il suo sogno e tiene tra le sue braccia il suo piccolo dovrebbe sentirsi triste?”
Eppure il Baby blues e la Depressione post-partum colpiscono, in misura differente ovviamente, la maggior parte delle mamme.
Bisogna fare una distinzione tra queste due forme di tristezza.
Il Baby blues è un disagio transitorio che si verifica già durante la prima settimana dopo il parto e che si protrae in media per una decina di giorni, risolvendosi senza l’aiuto medico o psicologico.
Esso è caratterizzato da instabilità dell’umore, facile tendenza al pianto, ansia e perdita di concentrazione.
Le cause sono da ricercare prevalentemente in una modificazione a livello ormonale conseguente al parto ma anche nell’improvviso aumento di responsabilità che, in un momento iniziale, può provocare delle reazioni ansiose.
La Depressione post-partum, invece, è una vera e propria patologia che non va sottovalutata, poiché è causa di molta sofferenza per la mamma e rischia, altresì, di danneggiare il normale ed armonico sviluppo del bambino.
Tra i sintomi, alcuni dei quali simili a quelli del Baby blues, certamente colpisce la sensazione di alcune madri di non riuscire ad amare il proprio bambino, di non mostrare interesse per lui e per le cure delle quali il piccolo ha bisogno.
La Depressione post-partum non insorge necessariamente subito dopo il parto, ma può verificarsi anche dopo alcuni mesi, inoltre non si risolve in tempi brevi, come il Baby blues, e richiede per questo l’aiuto di un medico e soprattutto di uno psicoterapeuta.
Tra le cause, oltre alle modificazioni ormonali, vi sono molte componenti psicologiche e sociali.
Spesso le mamme che sviluppano una Depressione post-partum sono donne che si aspettano molto da se stesse, pretendendo di essere perfette nel loro ruolo di madri e di mogli e spesso hanno difficoltà a richiedere l’aiuto degli altri. Quando però si accorgono di non riuscire a gestire tutto da sole, tendono a sentirsi in colpa per questo, pensando di non essere all’altezza, di non essere delle buone madri.
Vi sono, inoltre, dei fattori sociali che incidono nello svilupparsi di questa patologia, poiché spesso le famiglie vivono in contesti sociali poveri di legami forti e di frequente le giovani madri rimangono da sole con il proprio piccolo anche per molte ore di seguito. La mancanza di una rete sociale che aiuti la mamma nelle attività quotidiane e che la sostenga nel processo di “conoscenza” del proprio bambino è certamente un fattore aggravante.
Una giovane mamma, infatti, non sa per “istinto” cosa fare con il suo bambino, come prendersene cura, se sta commettendo degli errori, ma ha bisogno del sostegno di qualcuno che pian piano possa aiutarla ad “imparare” tutto questo.
Certamente un mezzo per contrastare la Depressione post-partum è il dialogo; tante mamme, in effetti, spesso a causa del senso di colpa e di inadeguatezza che provano, proprio perché si sentono “anormali”, “sbagliate” tendono a chiudersi in se stesse e a non ammettere di trovarsi in una situazione di disagio che viene avvertita come “innaturale”.
Il dialogo, in primis con il proprio partner, ma anche con le amiche o con alcuni parenti, può essere già una valida soluzione per iniziare a chiedere aiuto, per ammettere di avere bisogno degli altri, di avere delle paure, delle insicurezze che sono assolutamente legittime.
A volte, però, il dialogo da solo non può bastare, infatti è possibile che la Depressione post-partum si instauri in donne con una personalità particolarmente fragile, ed allora, in quel caso, è opportuno richiedere l’aiuto del medico e dello psicoterapeuta, al fine di aiutare la mamma nell’elaborazione di tutto quello che le sta accadendo e consentirle di vivere in un modo più adeguato, per sé e per il suo bambino, la sua maternità.
Dott.ssa Roberta La Barbera

PROGETTO BEN-ESSERE MAMME


Lo Studio Equilibrium è lieto di presentare il Progetto BenEssere Mamme.La finalità del Progetto “BenEssere Mamme” è quella di aiutare le mamme nella prevenzione della Depressione Post Partum. La Depressione Post-Partum (dal latino “dopo il parto”) è una particolare forma di disturbo nervoso che colpisce alcune donne già a partire dal 3° o 4° giorno dopo il parto, ma che può arrivare a manifestarsi anche a distanza di un anno.
Oltre il 70% delle madri, nei giorni immediatamente successivi al parto, manifestano sintomi leggeri di depressione, in una forma che il pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott ha denominato “Baby Blues”, con riferimento allo stato di malinconia (“blues”) che caratterizza il fenomeno. Si tratta quindi di una reazione piuttosto comune i cui sintomi includono delle crisi di pianto senza motivi apparenti, irritabilità, inquietudine e ansietà che tendono generalmente a scomparire nel giro di pochi giorni.
Ben più gravi e duraturi sono i sintomi della “depressione post-partum” che possono perdurare negli anni e che comprendono:
• indolenza
• affaticamento
• esaurimento
• disperazione
• inappetenza
• insonnia o sonno eccessivo
• confusione
• pianto inconsulto
• disinteresse per il bambino
• paura di far male al bambino o a se stessa
• improvvisi cambiamenti di umore
Il progetto che lo Studio Equilibrium propone punta a fornire un intervento di supporto alla mamma in modo da poter contrastare l’esordio di tale problematica e prevenire l’instaurarsi di eventuali complicazioni, sia per ciò che riguarda la salute della mamma stessa, sia in riferimento alla relazione mamma-bambino ma altresì alle relazioni familiari (relazioni con il partner, con eventuali altri figli, etc.).
Il progetto si articola su quattro tipi di intervento:
affiancamento domiciliare alla neomamma effettuato dalla Dott.ssa Roberta La Barbera, Psicologa e Psicoterapeuta, volto ad ascoltare l’eventuale disagio della mamma e ad aiutarla nella strutturazione di un’adeguata ed armonica relazione con il proprio bambino, nella risoluzione di problematiche della coppia di neogenitori e di problematiche di gelosia relative alla presenza eventuale di fratellini;
intervento psicologico volto a rafforzare l’autostima e la consapevolezza di sé e tecniche di rilassamento effettuato dalla Dott.ssa Silvia Giolitto, Psicologa e Psicoterapeuta
intervento di medicina della nutrizione con particolare riferimento al recupero della forma fisica della mamma, a consigli nella fase di allattamento
creazione del “Mamme caffè”, spazio di incontro per genitori (di bambini tendenzialmente fino ai 6 anni) che desiderano confrontarsi e condividere le loro esperienze. Il progetto è coordinato dalla Dott.ssa Roberta La Barbera, che sarà presente come facilitatrice durante gli incontri. Le tematiche saranno quelle che stanno più a cuore ai partecipanti, riguardanti i figli, l'essere genitori, le relazioni familiari. Al “Mamme caffè” è ben accetta, anzi auspicata, la presenza dei propri bambini.

Crescere sani mangiando bene

Lo Studio Equilibrium sta organizzando un Laboratorio dal titolo "Crescere sani mangiando bene" finalizzato all'educazione al mangiare sano all'interno delle famiglie, della difficoltà nell'educare e porre regole ai figli.

Il progetto è articolato in più attività: un laboratorio di Pet Therapy rivolto ai bambini, un ciclo di incontri rivolti ai genitori e tenuti dal Medico Nutrizionista ed un ciclo di incontri di rilassamento rivolti anche in questo caso ai genitori.

Le referenti del progetto sono: la dottoressa Silvia Giolitto, psicologa e psicoterapeuta, la dottoressa Roberta La Barbera, psicologa psicoterapeuta, la dottoressa Manuela Lo Giudice medico nutrizionista e Daniela Capobianco, esperta di Pet Therapy.

Laboratorio Leggo una storia al cane

Il laboratorio "Leggo una storia al cane" nasce dalla dimostrazione, riconosciuta a livello internazionale, che il cane, con la sua sola presenza, incoraggia i bambini a sviluppare e a migliorare le proprie capacità di lettura.

Leggere un libro a un cane sembra essere per i bambini molto più piacevole e molto meno stressante che farlo davanti agli adulti o agli insegnanti. Il cane non ti correggerà, non ti rimprovererà e non riderà di te. Al contrario, ti segue attento e paziente ed ogni tanto lancerà uno sguardo dolce e pieno di comprensione ed apprezzamento.

I cani da lettura non sono cani comuni, bensì addestrati all'ascolto. Ogni bambino legge mentre il cane siede vicino a lui. Il fattore determinante è la presenza del cane ed il suo non giudizio. Il laboratorio si rivela estremamente positivo ed efficace sia per avvicinare i bambini al mondo della lettura sia per i bambini che presentano alcune problematicità quali la dislessia, la balbuzie, il mutismo selettivo, l'autismo.

Il laboratorio si articola in 6 incontri di 60 minuti, in piccoli gruppi con massimo 5 bambini, dai 5 ai 10 anni o ragazzi dai 10 anni in su, che presentino difficoltà nella lettura o delle patologie.

PET THERAPY E LETTURA

In un mondo sempre più informatizzato, dove i nostri figli trascorrono la maggior parte del nostro tempo tra videogiochi e computer, la lettura sta perdendo il suo grande valore nel contribuire alla crescita dei bambini e dei ragazzi.
Spesso la lettura viene vissuta come un obbligo scolastico, un’attività noiosa e pesante che è meglio relegare solo alle ore di studio.
Si sta via via perdendo l’importanza della lettura nello sviluppo della fantasia e dell’immaginazione, la capacità che un libro ha di farci entrare ogni volta in un mondo nuovo, che in parte il lettore contribuisce a creare con la propria fantasia, dando corpo, attraverso le proprie immagini, alle parole che legge.
Vi sono molti modi per far sì che un bambino inizi ad appassionarsi alla lettura, in primo luogo l’esempio dei genitori: è provato che un bambino che vive in una casa piena di libri e che ha dei genitori appassionati di lettura avrà più probabilità a sviluppare questa passione; in secondo luogo la condivisione della lettura con i genitori: leggere insieme aiuta molto ad apprezzare maggiormente quest’attività; inoltre i genitori dovrebbero nella scelta di un libro da regalare al figlio, cogliere quali siano le passioni del proprio bambino o ragazzo (la scienza, lo sport, gli animali, etc.) e regalare loro un libro che sia inerente alle sue passioni o inclinazioni.
Infine, recenti studi hanno dimostrato che un’attività di Pet Therapy, molto particolare, che riesce ad avvicinare i bambini alla lettura, è quella di leggere ad alta voce una fiaba ad un gatto o ad un cane.
Uno dei progetti di lettura di fiabe ai gatti è stato ideato e realizzato negli U.S.A. in Pennsylvania, presso un rifugio per gatti abbandonati, il Berks County League.
La coordinatrice del rifugio, infatti, ha notato come il proprio figlio avesse migliorato le proprie difficoltà nel leggere eseguendo questa operazione ad alta voce di fronte ai gatti presenti nella struttura. Ciò ha fatto sì che altri bambini iniziassero questo percorso educativo che ha ottenuto ottimi risultati anche nei bambini con difficoltà nella lettura e in quelli con problemi di autismo.
La stessa attività è stata svolta anche con i cani.
L’idea di far accompagnare i bambini nel loro accesso al mondo della lettura dai cani, è nata negli Stati Uniti con il progetto R.E.A.D. (Reading Education Assistance Dog) e ora si sta diffondendo in tutta Europa.
Sempre negli Stati Uniti, una ricerca della Tufts University del Massachusetts, ha confermato che la lettura ad alta voce ai cani aiuta i bambini a superare l’imbarazzo e la timidezza e ad aumentare la loro autostima.
Questa attività ha due ricadute positive, da un lato fa sì che i bambini inizino ad amare leggere e a considerare la lettura un passatempo utile e divertente, dall’altro aiuta tutti quei bambini, in età scolare, che mostrano difficoltà nella lettura e nella scrittura, ma anche difficoltà nell’interazione con i compagni e con gli insegnanti. Capita, infatti, spesso che il momento dell’interrogazione orale innesca una reazione d’ansia che inibisce il bambino che seppur preparato, non riesce ad esprimere al meglio le sue conoscenze e il suo apprendimento.
Recentemente, come più sopra accennato, è stato dimostrato che la presenza di un cane, appositamente educato e guidato dal Pet Therapist, aiuta il bambino da un lato ad appassionarsi al mondo dei libri, dall’altro a superare le difficoltà legate soprattutto alla sfera emotiva.
Ci si può chiedere come mai avvenga questo? Il cane è in effetti un interlocutore particolare, poiché ascolta pazientemente non giudicando, non correggendo i difetti di pronuncia, non deridendo, ma anzi manifestando la propria presenza con lo sguardo, alzando le orecchie o facendo piccoli movimenti del capo. La presenza di un cane è rassicurante, poiché implica una piena accettazione del bambino, così com’è, con le sue difficoltà, con le sue problematiche, riducendo notevolmente l’ansia da prestazione.
Ad ascoltare il bambino non è più un adulto o un coetaneo, ma un silenzioso e benevolo tutor di lettura.
Il bambino si trova immerso in una nuova avventura in cui il suo amico a quattro zampe si mostra attento e pronto a ricevere coccole e carezze: la sessione terapeutica si delinea così in modo caldo, amichevole ed accogliente.
Inoltre il Reader Dog funge da motivatore per il bambino, che nel leggere una fiaba riveste il ruolo di “colui che sa” e che ha la capacità di trasmettere un sapere al cane che lo sta ascoltando, con ottime ricadute anche relativamente alla propria autostima.
Questa attività è indicata per tutti i bambini che rifiutano o mostrano difficoltà ad approcciarsi al mondo dei libri, e permette di raggiungere grandi risultati con bambini che presentano particolari problematiche quali: timidezza, scarsa autostima, difficoltà di socializzazione, ma anche balbuzie, autismo, mutismo selettivo, etc…

Dott.ssa Roberta La Barbera
Psicologa e Psicoterapeuta
studioequilibriumpalermo.blogspot.it

Pet Therapy

Lo Studio Equilibrium si avvale anche di tecniche di terapia dolce con l'ausilio di animali guidati dalla Pet Therapist Daniela Capobianco.
L'ausilio di animali preparati a tal uopo permette di rendere piacevole il setting terapeutico e di lavorare su obiettivi a breve, medio e lungo termine in modo stimolante e motivante per il paziente.
Il principio su cui si basa un intervento assistito dagli animali è quello della partecipazione degli stessi quali portatori di messaggi: gli animali di cui si avvale il Pet Therapist, diventano soggetti motivanti dell'intervento proposto e concordato tra paziente ed equipe di lavoro.
I benefici del rapporto con il cane sono innumerevoli: grazie alla propria spontaneità e alla naturale empatia verso il prossimo, il cane è in grado di stimolare profonde emozioni nel paziente, oltre che spingerlo a concentrarsi, ad avere fiducia e a cercare di superare i suoi limiti di natura fisica, psichica o relazionale.
Sulla base di questo e, grazie alla presenza dell'equipe di lavoro, il gioco si trasforma in un prezioso strumento terapeutico.

Oggi con il termine “Pet Therapy” si fa riferimento a una vasta sfera di interventi, sintetizzabili in tre macro categorie:

Le Attività Assistite dagli Animali (AAA) ossia interventi volti a migliorare la qualità della vita dei riceventi attraverso interventi di tipo ludico-ricreativo, educativo e /o assistenziale

Le Attività di Educazione Assistita dagli Animali (AAE) ossia attività con specifiche valenze formative e didattiche;

La Attività di Terapia Assistita dagli Animali (AAT) ossia attività che prevedono la partecipazione attiva dell’animale quale co- terapeuta, motivatore e parte integrante di un progetto terapeutico.

Come precedentemente descritto, la presenza dell’animale in contesti terapeutici è funzionale ad un significativo abbassamento delle barriere emotive degli utenti coinvolti e all’istaurazione di un canale comunicativo preferenziale tra utente e terapeuta.

L'Importanza Delle AAA/AAAE
L’utilizzo di animali da compagnia ai fini di Pet Therapy si è rivelato di tale importanza da essere riconosciuto come cura ufficiale, non sostitutiva, ma in affiancamento ad altri approcci terapeutici (co-terapia) dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 febbraio 2003.
E' stata inoltre dimostrata l’importanza delle AAA/AAE (Attività ed Educazione Assistite dagli Animali) sia su interventi di tipo ludico e sociale, che specifici: ad esempio in caso di problemi legati all'apprendimento e all'attenzione, nonché nella riduzione di fenomeni di iperattività, devianza, bullismo e abbandono scolastico.

Qualcosa In Più Sui Nostri Cani
I cani di cui ci avvaliamo sono in perfetta e certificata forma fisica, costantemente monitorati e curati dal punto di vista igienico-sanitario, ed educati con la tecnica del rinforzo positivo.
Riteniamo infatti che il contatto tra il pet e il paziente debba svolgersi in modo piacevole e gratificante per entrambi senza alcun genere di forzatura, pressione o coercizione.

Per Chi È Indicata La Dog Therapy?
La Dog Terapy è rivolta a chiunque: persone in difficoltà o soggetti normodotati.

Per Chi Non È Indicata La Dog Therapy?
Si sconsiglia di avvalersi di Dog Therapy nel caso di soggetti molto impauriti dai cani o che presentino allergie al pelo del cane.

Gruppi di parola per bambini

La Dott.ssa Elisa Liberti (Mediatrice Familiare) e la Dott.ssa Roberta La Barbera (Psicologa e Psicoterapeuta) organizzeranno a partire dal mese di Settembre dei “Gruppi di Parola”, rivolti a bambini, figli di genitori separati.
Il Gruppo di Parola nasce con l’obiettivo di permettere ai bambini, che vivono l’esperienza della separazione dei genitori, la possibilità di una crescita serena. Esso rappresenta uno spazio condiviso che permette ai bambini di esprimere i loro sentimenti rispetto alla separazione dei genitori, di condividere l’esperienza con altri, circostanza che permette loro di non sentirsi soli, di essere accolti in un ambiente protetto in cui viene garantita la massima riservatezza, di affrontare più adeguatamente le proprie emozioni in un percorso non terapeutico ma di ascolto. Allo stesso tempo, il Gruppo di Parola permette ai genitori di migliorare la comunicazione con i propri figli e di migliorare la riorganizzazione familiare.
Il Gruppo di Parola si rivolge a bambini dai 6 ai 12 anni che vivono o hanno vissuto l’esperienza della separazione dei genitori. Esso consta di N. 4 incontri complessivi di 2 ore ciascuno con cadenza settimanale. L’ultima ora dell’ultimo incontro si svolge alla presenza dei genitori. 
Lo studio Equilibrium si avvale della collaborazione della Dott.ssa Elisa Liberti, Mediatrice Familiare, che ci spiega cosa sia la Mediazione Familiare e quali siano le sue finalità ed i suoi obiettivi.
"La Mediazione Familiare rappresenta un percorso finalizzato a gestire la fine di una relazione coniugale, con l’aiuto di uno specialista, in modo meno traumatico, con l’obiettivo di “salvare” la relazione che si trasforma ma non si perde.
La Mediazione Familiare è dunque una chances, una possibilità che la coppia dovrebbe offrire a se stessa, attraverso l’aiuto di un professionista all’uopo specializzato. Lo scopo è quello di accompagnare la coppia nella transizione da coniugi a genitori.
La fine di una relazione coniugale, infatti, è sempre dolorosa per la coppia, per i figli, per i familiari. Attraverso questo percorso, però, si può cercare di evitare di esasperare la relazione e portare avanti l’obiettivo che comunque resta comune a due genitori per tutta la vita: quello dell’equilibrio nella crescita dei figli.
La coppia che riesce a concludere positivamente un percorso di mediazione familiare e a lasciare dietro di sé il conflitto per dare spazio ad un nuovo rapporto, può certamente ritenersi soddisfatta. Non necessariamente il fallimento della relazione coniugale deve avere come conseguenza l’allontanamento tra i componenti della famiglia. Questa si può “trasformare” e rimanere un “punto fermo” per i propri figli".
All'interno dello studio Equilibrium opera la dott.ssa Silvia Giolitto, psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, psicoterapia basata sulla connessione tra i pensieri (convinzioni, immagini, ricordi, aspettative) le emozioni (come ci sentiamo), i comportamenti (come reagiamo) e le sensazioni fisiche, nella vita di ogni uomo. Ogni intervento deve prendere in considerazione tutti questi ambiti in rapporto alla particolare storia di vita, che rende ogni persona unica rispetto a qualunque altra.
Tale terapia:
_è breve: da poche settimane ad alcuni mesi
_è centrata sul problema: terapeuta e paziente analizzano le cause e le circostanze che -mantengono un disagio e le possibili soluzioni
_è attiva: cioè basata sulla collaborazione tra paziente e terapeuta per ricercare insieme una soluzione; il terapeuta conosce le teorie della mente e letecniche di intervento, ma il paziente conosce bene il proprio problema e sperimenta che le vittorie più importanti sono quelle su se stessi!
La terapia si avvale anche di tecniche metodo specializzato nel trattamento e rielaborazioni delle esperienze traumatiche di rilassamento e del protocollo EMDR (Eye Movement Desensititation and Reprocessing)metodo specializzato nel trattamento e rielaborazioni delle esperienze traumatiche .
All’interno dello Studio Equilibrium opera la Dott.ssa Roberta La Barbera, psicologa, psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico lacaniano. 
Una psicoterapia orientata alla psicoanalisi permette di ascoltare le diverse forme di sofferenza a partire dalla frase di Jacques Lacan che chi soffre “soffre nel corpo o nel pensiero”. 
La sofferenza, il sintomo talvolta diviene un “insopportabile” che spinge la persona a formulare una richiesta di aiuto. Tale sofferenza può esprimersi in tutti i momenti della vita (infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia) e può interessare dei momenti cruciali dell’esistenza di una persona (la prima separazione dalla madre con l’inserimento a scuola, la pubertà, l’entrare del mondo degli adulti superando l’adolescenza e cercando la propria strada da percorrere, le relazioni amorose, il divenire madre, il divenire padre, le separazioni, i divorzi, il pensionamento, etc.).
Spesso la sofferenza legata a tali accadimenti si manifesta attraverso dei sintomi quali l’ansia, la depressione, i disturbi dell’umore, le fobie, gli attacchi di panico, i disturbi dell’alimentazione, del sonno, della vita sessuale, le dipendenze, o ancora i disturbi scolastici o del comportamento nei bambini e negli adolescenti.
Una clinica orientata alla psicoanalisi può dare una risposta a tali malesseri, a tali sofferenze. Può aiutare a ridurre l’insopportabilità del sintomo e a riscoprire il proprio desiderio, ciò che è alla base dell’esistenza dell’uomo e che orienta la sua vita, le sue scelte, le sue azioni.
Dall'amore e dalla passione per il nostro lavoro nasce a Palermo lo studio associato "Equilibrium il corpo e la mente". Il centro di medicina della nutrizione, di psicologia e psicoterapia, neuropsichiatria infantile e pet therapy è composto da personale altamente qualificato pronto ad affrontare con voi un percorso che vi permetterà di ritrovare il vostro benessere!!